La scimmia sulle spalle – di Iannozzi Giuseppe aka King Lear

Creato il 01 marzo 2012 da Iannozzigiuseppe @iannozzi

La scimmia sulle spalle

di Iannozzi Giuseppe aka King Lear

sfilata nazista

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Il corpo a terra, sbattuto in un angolo. E la bicicletta sbalzata lontano, a pezzi. La gente s’era raccolta in cerchio, muta. E un cielo immenso e grigio s’era ingravidato di pioggia, calda al contatto con la pelle, quasi fosse sangue.
“E’ morta!”- diceva uno in un sussurro appena udibile.
“No, non è morta.” – gli rispondeva un altro, e già prendeva per squagliarsi perché lo sapeva ch’era morta e che mai più si sarebbe rialzata da quella pozza di sangue.
Il camion che l’aveva presa sotto s’era fermato: ne era sceso un uomo grosso, rubizzo. S’era fatto accanto al corpo abbattuto scuotendo la testa, per viziosa abitudine e non per orrore. “Non c’è odore di feci” – aveva sentenziato. “Non c’è, quindi dev’essere ancora viva.” Un ragazzo lo guardò storto, ma distrattamente perché proprio non aveva voglia di fare a pugni con quella specie di scimmione. “Anche se fosse morta, non farebbe differenza. Non per me!” Ed intanto fissava le budella che cadevano nella pozza di sangue in cui il corpo era immerso. L’acqua pioveva grossa, ma il rosso sangue faticava a scivolare nelle condutture oscure dei tombini. La gente cominciava a dileguarsi, stanca, bagnata. In lontananza, un fischio sordo.

* * *

“Tu hai visto com’è accaduto?”
Il ragazzo fece un cenno col capo ch’era un ‘sì’. S’aggiustò gli occhialini rotondi sul naso, diede un colpo di tosse, poi rispose con voce smorta: “All’angolo, la bicicletta: pedalava, era tranquilla, così sembrava, poi quel camion, veniva veloce, l’ha presa sotto, proprio sotto spezzandogli la schiena, e la bicicletta è volata via… Non ha frenato. No. Non c’ha neanche provato. S’è fermato solo dopo, molto dopo.”
La ragazza stette a sentirlo, poi s’accese una sigaretta. Tonio la fissava innamorato, e lei gli resisteva. Era una bellezza bruna, occhi d’un profondo verde e una boccuccia ch’era un carnoso petalo cremisi… Lei sapeva d’essere appetitosa come una fragolina di montagna, lo sapeva bene e se la godeva un mondo a vedere Tonio che gli moriva dietro forte solo della sua timida impotenza.
“Tu sei Ebreo?” Gliel’aveva chiesto mille volte; e sempre Tonio rispondeva alla domanda con un ‘sì’, quasi vergognoso.

* * *

L’odore era nauseabondo, ciononostante il medico legale sembrava a suo agio. “Chi abbiamo qui?” Lo sapeva bene: il corpo era di fronte a lui, sul lettino metallico.
L’aiutante alzò le spalle.
“Capisco!” Diede un’ultima occhiata al corpo prima dell’autopsia. Poi cominciò a segare.

* * *

“Dove vai, Colombella?”
“Al mercato. Al mercato se c’è, a prendere un po’ di verdure se si trovano.” Sorrise al ragazzo che se ne stava fra le coperte. Thomas non smetteva mai un secondo d’ammirare le perfette curve della donna: era un’estatica visione che lo commuoveva fino alle lagrime. La bagnava la luce dopo l’amore: era felice, semplicemente anche se fuori era la guerra.

* * *

“Fa freddo, qui.”
“E’ la morte che è fredda.”
“Non pensavo potesse accadere.”
“E’ stato un incidente.”
“Com’è successo?”
“In maniera veloce. Neanche te ne sei resa conto.”
“Oh, povero, povero Thomas. Sarà disperato.”
“Se ne farà una ragione. O morirà nel tuo ricordo.”
“No, non voglio che muoia per me. In me.”
“Sono tempi incivili questi.” Silenzio. “Ed una lupa, che di tutte brame/ sembiava carca ne la sua magrezza,/ e molte genti fé già viver grame,/ questa mi porse tanto di gravezza/ con la paura ch’uscia di sua vista,/ ch’io perdei la speranza de l’altezza.”
“Dante!”

* * *

Thomas giunse ch’era già troppo tardi. Il cadavere di Colombella era già stato tradotto altrove.

Una telefonata anonima: “E’ morta. L’hanno presa sotto… Vada a vedere coi suoi occhi se non mi crede…”. Gl’era caduta la cornetta del telefono dalle mani.

S’era vestito in tutta fretta, col cuore che gli batteva a mille nel petto. Non ci credeva, non voleva. Ma adesso era lì: le lagrime non riuscivano ad uscire. Solo un dolore sordo s’era pronunciato nel petto, una fitta che lo piegò in due e che lo costrinse a inginocchiarsi.

Rimise anche l’anima. Al residuo sangue della vittima s’era aggiunto il veleno impotente di Thomas; e la pioggia, calda come sangue, continuava a piovere.

* * *

“Sì, sono Ebreo. Ma già lo sai.”
Lei non disse nulla. Ma gli sorrise.
“Finirà mai questo tempo devastato?” Non era una domanda, forse solo una constatazione, e l’aveva lasciata libera di sfogarsi nell’aria della cartoleria.
“Non lo so. Non so più niente. Dove la giustizia e la sopraffazione, non lo so. Non so se siano mai esistiti questi concetti, nell’uomo.”

* * *

“Avremo un figlio?”
“Forse un giorno.”
“Perché non adesso?”
“Non è il momento migliore. Forse non lo sarà mai. Ma questo è il peggiore di tutti.”
“Non puoi dire così. Se non lo facciamo… Dove l’eternità dell’uomo?”
“Sai anche tu che non è possibile. E’ inutile mettere al mondo un’altra anima. E poi, prima ci dovremmo sposare.”
“Sì.”
“E poi dobbiamo aspettare.”
“Non servirà a molto limitarsi ad aspettare. Lo sai meglio di me.”
“Forse non servirà. Ma cos’altro potremmo mai fare?”
“Un figlio per una speranza nuova.”
“Ah, lo vorrei un figlio! La vorrei una speranza, ma non ne sono convinto in questo momento. Preferisco restarti accanto.”

* * *

“Non l’avremo mai un figlio. Non noi. Povero Thomas.”
“Se ne farà una ragione. O morirà nel tuo ricordo.”
“Ma io non voglio. Lui deve vivere.”
“Vive chi desidera vivere.”
“Sbagli!”
“Non si può dire sempre la verità, neanche qui!”
“Qui fa freddo, tanto. Io volevo vivere.”
“Questo lo so. E’ stato un incidente.”
“Come puoi osare tutta questa sicurezza?”
”Qui è la morte. Io sono la morte. Se dico che è stato un incidente, è stato così. Perché nutrire il dubbio?”
“La morte non è un semplice incidente. E’ provocata.”
“In alcuni casi.”
“E nel mio?”
“Una Scimmia.”
“Una Scimmia? Che diavolo significa?”
“O la Svastica. Deriva dal sanscrito, Svastika, apportatore di salute.”
“Non ti seguo.”
”La Scimmia… La Croce e la Svastica sono sempre più unite. Il Führer è in ognuno di noi, anche nel camionista. Lui non lo sa, ma c’è la Croce e la Svastica nel suo spirito.”

* * *

Tonio guardò la ragazza. Era bella e impossibile. Si sarebbe dannato l’anima per lei, ma anche così non sarebbe mai stata sua.
“Che hai da fissarmi?”
Il ragazzo s’accese di vergogna.
“Allora?”
“No. Niente.” Tossì imbarazzato.
“Forse ti dà fastidio che fumi!” E prese a ridere.
“No.” Non sapeva cos’altro dire.
“Certo che sei un tipo strano! Mi fissi e non dici nulla.”
Tonio arrossì ancora più violentemente: “E’ che sei così bella!”. La voce gli uscì che era un pigolio.
“Sì, è stata una brutta storia quella.”
“Che dici?”
“Ma sì! Quella poveretta. Chissà se aveva un uomo? o qualcuno?”
Tonio comprese che aveva ignorato il suo complimento, non l’aveva neanche sentito. ‘Meglio così!’- pensò.
“Può darsi.”
“E tu ce l’hai la ragazza?”
“Io?” Un nodo in gola. “No.”
“Peccato. Dovresti avercela una ragazza.”
“E’ che non ho trovato ancora quella giusta.”
Lei gli sorrise, quasi materna, un po’ civettuola: “E chi potrebbe essere quella giusta, per te?”
Tonio scosse il capo, ma non significava niente.

* * *

Si svegliò in un bagno di sudore: il petto gli faceva male. Un incubo. Solo un incubo. Ma così vivido che faticava a credere che tutto fosse accaduto solo nel suo cervello. E nella memoria, un tempo passato confuso o un futuro possibile.

Il caffè, nero, bollente, da centellinare. Chissà se c’era mai stato un mercato ortofrutticolo nella Germania nazista! Andò a rovistare tra i libri, ma niente: non riuscì a trovare alcuna informazione circa i mercati della gente.

“Per chi voterai?”
“Per la fiamma tricolore. Come sempre.”
“E tu?”
“Io sono apolitico.”
“O forse sei impolitico. Lo sai che Luigi Pirandello fu anche un fascista? Si dice fosse carente d’una convinta giustificazione ideologica. L’adesione dello scrittore al fascismo, all’indomani del delitto Matteotti, fece scandalo. Tuttavia, in segno di riconoscenza, nel 1929, fu nominato membro dell’Accademia d’Italia. E anche Thomas Mann, nel 1914, con il saggio ‘Pensieri di guerra’, sostenne la causa tedesca in aperto contrasto con il fratello Heinrich, pacifista convinto. Però, ad entrambi fu assegnato il premio Nobel per la Letteratura.”
“Ed allora?”
“Sono stati o no due grandi?”
Gabriele rimase in silenzio, mentre Gustav lo fissava in attesa d’una risposta. “Non mi dirai che ancora non ti sei scollato la scimmia di dosso?”
“Forse non del tutto. E’ facile iniziare, difficile smettere completamente. Riprendere una vita normale, quasi impossibile. Io non ne so niente di scrittori e come tirano a campare.”
“Che diavolo di risposta sarebbe questa?”
“Non lo so.” Aveva ancora la testa confusa. E il ricordo dell’incubo avuto durante la notte faticava a stemperarsi.
“C’erano mercati ortofrutticoli nella Germania nazista, che tu sappia?”
Gustav alzò le spalle: non lo sapeva. “Non ne sono certo. Forse.”
“Grazie comunque.”
Rimasero in silenzio entrambi, l’italiano e il tedesco.
Fu Gustav a dire la prima parola dopo una lunga pausa: “Adesso vedi di passarmi il segaossa.” Gabriele glielo passò.
Sul tavolino metallico c’era una donna, giovane. Solo ora l’aveva notata.
“Chi è?”
“E che te ne frega?” Sbuffò. “L’ha presa sotto un camion.” E così dicendo la spogliò del nero sudario che la copriva. Era uno spettacolo orrendo a vedersi.
“E’ co… come nel… l’incubo…” – bofonchiò.
“Che hai detto?” Ma Gabriele non lo stava più ad ascoltare.
Gustav gli strappò il segaossa dalle mani e prese a tagliare.
“Niente.” – disse Gustav a sé stesso dopo un paio di minuti. “E’ tutto un casino di nervi e carne.” Si sfilò i guanti e fece per andarsene. Ma Gabriele richiamò la sua attenzione: “E’ già venuto qualcuno a vederla?”
Gustav lo fissò un istante, mentre sulle labbra gli si dipingeva una smorfia di disprezzo: “Un uomo. Il marito. O l’amante. Che differenza fa?”
“Nessuna…” – bofonchiò Gabriele.
“Vedi di cucirla e poi fatti… Quello che vuoi!” E così dicendo lo lasciò da solo insieme al cadavere da ricucire.

Prima di tornare a casa acquistò il giornale. La cronaca locale riportava la notizia d’un uomo che s’era suicidato col gas: aveva aperto il rubinetto, si era poi disteso sul letto ed aveva atteso la morte. Da quanto poteva leggere, l’uomo s’era suicidato dopo aver saputo che la fidanzata era morta in un tragico incidente stradale. Ebbe un conato di vomito. Aveva bisogno d’un ago in vena per riuscire ad anestetizzare almeno per un po’ di tempo il dolore e lo schifo che sentiva nelle budella. Sì, aveva proprio bisogno di un ago: era da troppo tempo che sopportava la scimmia sulle spalle. Mentre pensava a come procurarsi una dose, un ragazzo lo prese in pieno. Caddero entrambi a terra.
“Dove hai la testa?” – gli gridò addosso Gabriele.
Il ragazzo, un tipo quasi brutto che pareva uscito da un centro sociale, arrossì violentemente. Poi, a sua volta, gridò: “Tu ce l’hai con me perché sono Ebreo!”
Sarebbero venuti alle mani, ma il fischio sordo d’un’ambulanza li stordì e li distrasse da sé stessi. Quando fu passato, il ragazzo non c’era già più: se l’era squagliata.

L’occhio si posò su una foto ai suoi piedi. La raccolse: era d’una ragazza, una bellezza bruna, occhi verdi profondi come il mare, una boccuccia ch’era un carnoso petalo cremisi… Doveva averla persa quel ragazzo. Una violenta vertigine: perse i sensi. O tornò a vivere l’incubo.

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