Scoprire un nuovo autore: capita, succede. George Mackay Brown è il primo che scopro non attraverso le sue opere, bensì grazie alla sua biografia. In inglese, e che ho comprato prima delle festività di Natale su Book Depository.com. Nel nostro Paese, le sue opere sono tradotte dalla casa editrice Tranchida, ma su Amazon e IBS la sentenza è sempre la medesima: “Al momento non disponibile” e vale per tutti i suoi libri.
La scoperta di un nuovo autore
Ci sono diversi motivi che agiscono, e ci portano a scoprire questo o quell’autore. Cormac McCarthy lo scoprii negli anni Novanta (quando in pochi lo conoscevano), perché il titolo di un suo romanzo (Cavalli Selvaggi), richiamava alla mente “Sentieri Selvaggi”, il film di John Ford. Altri, come Bjorn Larsson, o Goran Tunstrom, facevano parte del mondo scandinavo, che a un sedentario come me ha sempre interessato.
Però nel caso di George Mackay Brown, direi che sono due i motivi che mi hanno indotto a trovarmi faccia a faccia con questo autore.
Il primo: le periferie. Lui ha vissuto nelle isole Orcadi, un pugno di terre al nord della Scozia. Si sa che c’è questa leggenda metropolitana secondo la quale viaggiare apre la mente. Lui non ha mai viaggiato: una o due volte in Irlanda. Un po’ di Scozia. Qualche volta a Londra. Non è necessario conoscere il mondo per narrare.
Gli inadatti sono adatti
Il secondo motivo che mi ha spinto all’acquisto della biografia, è un aneddoto relativo a un suo viaggio verso Londra. Di notte. Lui non riuscì a chiudere occhio perché il treno passava nelle stazioni, e le luci attraverso il finestrino si rovesciavano nella sua carrozza.
Come? Già, basta abbassare le tendine, ma lui non lo fece (non se ne rese conto?) e passò la notte in bianco.
Ci sono esseri “inadatti”. O che sono del tutto fuori posto nel nostro efficiente mondo che sta andando al diavolo. E credo che siano proprio costoro a poter dire qualcosa di inefficiente e tuttavia adatto.
Rovesciare la prospettiva
Il nostro punto di vista è troppo zeppo di certezze e saggezza. Da troppi secoli siamo persuasi di conoscere tutto e tutti, e di poter dire agli altri come devono vivere: esattamente come noi, ça va sans dire. Il risultato è un disastro.
Questi pezzi di terra sparsi in giro per l’Europa hanno spesso una storia da raccontare. Da ascoltare. Non sono Parigi o Firenze, né Mosca o Berlino; che hanno la loro importanza, ci mancherebbe altro. Ma il pensiero elaborato in queste corti sta cadendo a pezzi.
Abbiamo fallito. Abbiamo creduto che ci fosse un solo modo di costruire la Storia, e che non ci fossero alternative. Ascoltare è sempre una buona alternativa. A forza di non prestare attenzione alle erbacce lungo la strada, non siamo in grado di vederne la bellezza.