Così dice di sé Milena Agus, all'inizio di questo piccolo intelligente libriccino, Perché scrivere (senza punto interrogativo), pubblicato da una piccola intelligente casa editrice come Nottetempo.
E non è vero, quello che Milena Agus afferma, anzi, nega di sè. Siamo di fronte a una delle migliori voci della narrativa italiana, anche se il successo è arrivato a sorpresa, in una storia che sa quasi di fiaba.
Però non è questo che conta. Milena Agus ci prende per per mano e ci accompagna nel suo laboratorio di scrittura, spiegandoci come ha cominciato a scrivere e che cosa questo significa per lei. Senza che questo abbia a che vedere con i soliti consigli per aspiranti scrittori.
Piuttosto è bello inseguire le sue parole di scrittrice - e di donna che si intuisce incline alla ritrosia sui fatti personali - e con lei ritrovare la Milena bambina, quando i libri erano il rifugio e il sogno di un'età difficile.
Scrivere aveva il sapore di libertà di un'adolescente che non sapeva fare niente di quello che sapevano fare gli altri e perciò provava a rifarsi in questo modo, scrivendo e vergognandosi di scrivere, equilibrista in una prova che era facile presumere che non sarebbe riuscita a portare a termine.
E oggi, oggi la scrittura, così dice, è ancora la tana che si porta dentro. Però questa storia è anche una bella versione della metamorfosi del brutto anatroccolo.
Che dopo tanto penare ora può concedersi uno scatto di orgoglio:
Scrivo come mangio: mi abbuffo e poi mi pento che nel piatto non sia rimasto nulla.