La scrittura come costruzione

Da Marcofre

Se la scrittura è una costruzione, essa deve essere precisa, solida. Sembra un’affermazione ovvia non è vero? Può darsi, però tanta narrativa di esordienti sconta questo grave peccato capitale.
Una costruzione, grande o piccola che sia (romanzo o racconto che sia), deve avere un’esecuzione efficace e una forma impeccabile. Non può esserci spazio per la superficialità o la fretta; in caso contrario si lavora su qualcosa che non può essere robusto.

Per questo immagino sia indispensabile la disciplina. Una scena, piccola o grande che sia (nel senso di dimensioni, non di importanza: nella scrittura tutto è importante, se c’è. Se non è importante si cancella), richiede sempre la medesima attenzione. Non tutto al suo interno deve risaltare (non tutto è necessario, buono o utile). Ma quello che poi finisce sulla pagina deve essere efficace. Distrazioni o rumori, o egocentrismo, spesso si riversano sulla pagina, e tendono a creare mostri bavosi e storpi.

Non esistono ricette o modi uguali per tutti, ma credo che il silenzio sia un valido alleato. Rende l’intelligenza più pronta a cogliere le sfumature, i gesti utili alla storia. Il talento si affina perché “impara” a cesellare di volta in volta anche i dettagli in apparenza superflui, e tralascia quelli che superflui lo sono sul serio.

A mio parere, funziona così. Se appare un’immagine, essa ha già in sé quello che le serve per definirsi al meglio; e persino per abbozzare lo sviluppo successivo.
Quando mi capita di finire in un vicolo cieco (non è il blocco dello scrittore), adotto una a banale strategia, che di solito mi riporta alla luce. Se non succede, mollo tutto e passo ad altro. Sbaglio? Non lo so, è il mio sistema e con me funziona.

Di quale strategia sto parlando? Mi limito a rileggere quanto ho scritto: banale vero?

Cerco di illuminare la scena nel modo più preciso possibile e spesso scopro che da qualche parte c’era qualcosa, una specie di perla, che non avevo notato. Per questo motivo non procedevo più.

Recuperata la perla, la scena non solo riacquista forza e valore, ma mi permette anche di vedere oltre.

Quando si dice che l’autore non deve essere un dittatore, ci si riferisce a questo. Il dittatore non ha dubbi e procede. Tutto è bellissimo, definitivo, e non ha bisogno di nulla. Nella scena c’è di tutto, tranne l’essenziale capace di imprimerle forza ed energia. Quell’energia che la fa procedere di pagina in pagina sino a lasciare il lettore sorpreso e pensieroso. Perché ha trovato un piccolo tesoro in quelle pagine, di cui ignorava l’esistenza. Un tesoro che si riverserà nella sua vita.

La narrativa non è la replica precisa della vita, o di quello che vediamo. Ma una specie di portale che una volta oltrepassato, ci proietta in qualcosa di vicino, reale eppure inesistente. Quest’ultima caratteristica sfuma, finisce sullo sfondo: se siamo alle prese con il Moby Dick poco importa di non aver mai navigato nemmeno su un gozzo.

Siamo sul Pequod. Il capitano Achab parla all’equipaggio. E ci rendiamo conto di essere nei guai perché lui desidera solo la morte della balena bianca, e moriremo se quell’uomo non sarà fermato in qualche maniera. E già intuiamo che NON sarà fermato perché la sua follia è troppo forte, seducente, e trascinerà alla fine tutti, o quasi.

La piccola voce che ci dice: “È solo un romanzo” scivola lontano. E questo è possibile solo quando l’autore ha messo tutto nero su bianco, ha scelto cosa è efficace, cosa è zavorra, e ha reso nitido e brillante quello che ha trattenuto per sé, per donarcelo.

Niente è perfetto, certo. Racconti o romanzi hanno sbavature, mostrano difetti e via discorrendo. Ogni costruzione porta con sé limiti ed errori. Napoleone vince ad Austerlitz, e nessuno presta attenzione ai morti, ai feriti, ai mutilati. Anche in un romanzo (meno in un racconto), ci sono dei feriti, ma quello che funziona è talmente decisivo che pochi se ne accorgono.

Si consegue un obiettivo del genere solo quando si dichiara guerra alle apparenze, alla superficialità, e si marcia verso il cuore degli eventi. Perché a dispetto di quanto si blatera, siamo immersi in un mistero, e questo non è affatto spiegato dalla televisione.
Ma indicato da pochi libri.


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