«Che cosa ti ha scritto oggi il prof?».
Forse a nessuno è mai capitato di sentirsi porre questa domanda dai genitori al ritorno da scuola. Molto più comune il «Come è andata?». Che vuol dire: «Quanto hai preso?».
Eppure, alle scuole medie di Pesaro c’è un professore di Matematica e Scienze che, ormai da quindici anni, preferisce scrivere lettere ai propri alunni anziché comunicare i voti. Che ci sono e sono scritti sul registro, ma che sono confidati soltanto a chi lo chiede perché, per il prof, non rappresentano l’obiettivo finale, la ragione ultima per cui si va a scuola e si studia.
«I ragazzi sentono molto il peso del voto, che è vissuto come un giudizio sulla propria persona e questo non va bene», spiega Ferdinando Ciani, tra i primi in Italia ad applicare il metodo della “Scuola del gratuito”, nata da un’intuizione di don Oreste Benzi, il fondatore dell’Associazione Papa Giovanni XXIII, che si occupa soprattutto di ragazzi, adulti e famiglie in difficoltà.
«All'inizio dell’anno – prosegue il prof – chiedo ai ragazzi se preferiscono il voto o la lettera e, la maggior parte, chiede la seconda. In quelle poche righe cerco di mettere in luce i passi in avanti compiuti e anche i punti deboli su cui l’alunno dovrà lavorare, indicando un metodo per migliorare». Alla base di tutto c’è il Patto educativo che professore, alunni e famiglie stipulano in prima media e che vale per l’intero triennio. Un patto che è anche un’assunzione di responsabilità e, per gli studenti, una motivazione in più per impegnarsi. «Insieme – aggiunge Ciani – stabiliamo le regole e concordiamo il metodo di lavoro. Con questo sistema, per esempio, l’anno scorso abbiamo scelto insieme il libro di Scienze, adottando quello più votato dai ragazzi».
Ecco la testimonianza di una ex alunna del prof Ciani:
«È stata un’esperienza molto positiva, di cui ho un buon ricordo e che, soprattutto, mi ha aiutata a crescere». A dieci anni di distanza, Cristina Spadoni ricorda ancora con piacere (e un pizzico di nostalgia) il tempo delle scuole medie, con questo prof di Matematica un po’ speciale che, a lei e ai suoi compagni, scriveva lettere in fondo ai compiti in classe anziché limitarsi ad assegnare voti. «Aver messo in secondo piano il risultato – ricorda Cristina, che oggi ha 26 anni ed è educatrice in un asilo nido di Pesaro – ha fatto sì che in classe non ci fosse competizione, che noi studenti non ci giudicassimo sulla base di un 5 o di un 8. Penso che, anche per questa ragione, il nostro gruppo classe fosse molto unito».
Cristina ricorda anche le attività extrascolastiche proposte dal prof. Come, per esempio, trascorrere alcuni pomeriggi a casa di un coetaneo con una gravissima disabilità che gli impediva di andare a scuola. «Andavamo da lui a fare i compiti – racconta la giovane – e gli facevamo compagnia per qualche ora. La ricordo come un’esperienza molto forte che, per la prima volta, mi ha fatto entrare in contatto con la fragilità, con il bisogno di chi deve vivere con una grave problema. Come tutte le esperienze fatte alle medie (penso, per esempio, alla coltivazione dell’orto nell'ora di Scienze), quei pomeriggi mi hanno davvero fatto “diventare grande” e hanno lasciato un segno durevole nella mia vita».
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