La scuola più bella del mondo

Creato il 05 dicembre 2014 da Af68 @AntonioFalcone1

(Movieplayer)

Acerra, Campania. La scuola media Enzo Tortora è un edificio sgarrupato, dove, fra l’altro, l’aula dei professori è situata all’interno dei servizi igienici per gli alunni. Il corpo insegnante è del tutto rassegnato allo stato delle cose, come il professore Gerardo Gergale (Rocco Papaleo), che nella vita voleva svolgere tutt’altra professione (fumettista), il quale lascia i ragazzi allo stato brado, isolandosi con fare rassegnato e disilluso dalle loro problematiche, preferendo ascoltare musica e immaginare un mondo a misura di cartone animato. Sembrano credere ancora alla loro missione educatrice la collega Wanda Pacini (Angela Finocchiaro) e, soprattutto, il preside Arturo Moscariello (Lello Arena), intento a spedire missive al Presidente della Repubblica per portarlo a conoscenza della grave situazione. Tutta altra aria, tra efficienza e produttività, si respira alla scuola media Giovanni Pascoli, a San Quirico D’Orcia, in Toscana, diretta dal preside Filippo Brogi (Christian De Sica), al quale sta a cuore la vittoria all’annuale concorso organizzato per premiare il migliore istituto.
Insieme alla professoressa Margherita Rivolta (Miriam Leone) e con il consenso del sindaco, organizza quindi un incontro all’insegna del politicamente corretto, con gli studenti di Accra, capitale del Ghana, Africa.
Peccato che l’invito venga inviato dal bidello (Nicola Ricagnese), accettando il suggerimento del correttore automatico, al suddetto istituto di Acerra, dove viene scambiato per la risposta del Capo dello Stato …

Rocco Papaleo (Movieplayer)

Correva l’anno 2001 e Luca Miniero, regista e sceneggiatore (in tale ultimo caso insieme a Daniela Gambaro e Massimo Gaudioso) de La scuola più bella del mondo, dava vita, in coppia con Paolo Genovese, ad Incantesimo napoletano, un film, derivato da un precedente cortometraggio, che aveva il merito di affrontare la contrapposizione fra Nord e Sud abbracciando toni stranianti e surreali. Tale tematica veniva ripresa e sfruttata, giocando su un registro più ironico, vagamente favolistico, nel sagace Benvenuti al Sud, remake della commedia francese Giù al Nord (Bienveneu chez les Ch’its, 2009, Dany Boon), per poi essere riproposta, mostrando già la corda, leggi minore freschezza e spontaneità, con il sequel Benvenuti al Nord (2012) e in Un boss in salotto (2013). Quest’ultimo rivelava un vestito ormai logoro sotto le consuete toppe di pronta applicazione, dalla denominazione variabile a seconda degli eventuali meriti sul campo da assecondare (“piacevolezza complessiva”, “valide prove attoriali”, “ incassi elevati”). Non pago di aver spremuto il limone fino in fondo, convinto che la gallina dalle uova d’oro possa continuare a godere di un’eterna fecondità, Miniero mette ora in atto quello che lo scrivente vorrebbe fosse un conclusivo coccodè, aureo o meno.

Christian De Sica (Movieplayer)

A mio avviso, infatti, si è arrivati al limite della decenza rappresentativa nel portare sullo schermo, con modalità sempre più stantie e anche volgari, in forma di fatuo guazzabuglio dove inserirci di tutto e di più a riempitivo del vuoto circostante, la consueta riproposizione, ancora più zuccherosa, fra inveterati cliché e volemose bene d’accatto, con i ragazzi a far da tramite col mondo degli adulti, della solita tematica: lo scontro che si evolve in confronto e la definitiva accettazione delle reciproche differenze in nome di una scambievole confluenza di quanto di buono vi possa essere nell’ambito di una diversità comunque espressa. L’inizio mi era parso promettente, in particolare per la capacità di conferire uno sguardo al reale, potenzialmente satirico e grottesco, forse un po’troppo caricato nei toni, nel rappresentare in parallelo due opposte realtà, Meridione e Centro, tanto a livello sociale quanto istituzionale.
Nella contrapposizione delle gesta dei due dirigenti scolastici, sembra soffiare un refolo da “vecchia commedia” anni ’50, merito anche di uno splendido Arena e della sobrietà comunque espressa da De Sica, per quanto tale veste nasconda il solito ruolo da maneggione menefreghista. Papaleo, invece, appare così intento nel rappresentare la figura del professore svogliato, rassegnato ed indolente, da evidenziare quanto, a volte, possano essere labili i confini fra uomo ed attore, anzi direi che supera il ruolo nel passeggiare in lungo e largo alla ricerca di una vaga ispirazione.

Lello Arena (Movieplayer)

Quando avverrà il fatidico incontro fra le due scuole, all’insegna di equivoci e luoghi comuni fin troppo enfatizzati, regia e sceneggiatura abbandonano il campo, facendo che sì che tutto scorra sullo schermo in una sorta, ad essere buoni, di sconclusionato happening alla continua ricerca di qualsiasi espediente per rendere il pubblico partecipe, abbracciando generi diversi senza mai trovare un vero e proprio fulcro identificativo. Dalla farsa abborracciata (il sin troppo facile assioma Africa-Meridione e relative battute, idiote ancor prima che razziste) alla vaga satira di costume (il sindaco progressista che non sa chi sia Guevara, il cui poster troneggia nel suo ufficio), passando per il cartoon (la visualizzazione dei pensieri di Gerardo, che si inserisce nella narrazione non senza qualche stridore) e il musicarello (Curre curre guagliò dei 99 Posse declinata in varie salse fino a divenire nel finale carnascialesco una canzone degna di essere inserita nel palmarès dello Zecchino D’Oro), senza dimenticare la commedia romantica (i duetti, piuttosto acerbi e appena accennati, fra De Sica e Finocchiaro o quelli tra Papaleo e Leone, quest’ultima unica nota veramente fresca e in qualche modo vibrante del cast, Arena a parte).

Miriam Leone

Stenta a decollare, almeno a mio parere, l’integrazione comica fra De Sica e Papaleo, il solito mix di battibecchi ed incomprensioni da catalogo, tanto che i due attori vengono impiegati in una serie d’esibizioni ludico-sportive stile festa paesana, in virtù di una sceneggiatura quantomeno svogliata nell’offrirgli, come a quasi tutto il cast, la dimensione di semplice figurina da spostare a piacimento a seconda delle varie situazioni che si presenteranno in corso d’opera.
Evidente, poi, la coazione a ripetere di scene già viste (le oche che prendono il posto del gatto di Un boss in salotto), gags trite e ritrite, con una narrazione la cui enfasi portante è costituita un ritmo altalenante e discontinuo, una minestra riscaldata il cui ingrediente principale è l’intrattenimento senza colpo ferire, per un risultato complessivo più simile, e forse consono, ancora una volta, ad una fiction televisiva. La conclusione “anema e core”, appare come degno suggello alla banalità e pretestuosità tipiche dell’intera messa in scena, anche se la sequenza propriamente conclusiva, assecondando l’andamento ondivago della narrazione, prova a riportare quest’ultima nuovamente nell’alveo della satira sociale. Ma ciò che resta, almeno come personale sensazione, è un definitivo amaro in bocca per l’ennesima commedia italiana incapace di abbandonare il bozzolo dei comodi schemi per rinascere come farfalla idonea a volare fra i fiori di una finalmente inedita e portante caratterizzazione.


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