Sentenza della Consulta: altro che sconfitta per il nucleare italiano. Non è chiaro perché gli antinuclearisti abbiano cantato vittoria a seguito della sentenza della Corte Costituzionale. La decisione della Consulta, infatti, non è affatto una battuta d’arresto per il nucleare italiano, è anzi solo una conferma che l’impianto del decreto legislativo sulla disciplina della localizzazione è sostanzialmente valido e che ha una tenuta costituzionale non discutibile.
La sentenza, oltre ad aver respinto la maggior parte dei ricorsi presentati da ben 13 Regioni, ribadisce infatti il concetto di parere non vincolante delle Regioni che, di certo devono essere “adeguatamente coinvolte nei procedimenti, in un meccanismo che bilanci le esigenze del buon andamento dell’azione amministrativa”, ma il cui parere non rappresenta “un vincolo”.
Inoltre, per quel che riguarda l’iter legislativo, la sentenza è stata pubblicata con ottima tempestività e infatti, il decreto correttivo del decreto legislativo 31/10, che deve essere emanato entro il 23 marzo, integrerà questa piccola modifica.
Certo, è vero che il ministro dello Sviluppo Economico, Paolo Romani, ha detto che quelle sul nucleare “devono essere scelte condivise” e “nessuno vuole mettere le centrali dove cittadini o enti locali non vogliono”, ma ciò non toglie che reazioni entusiaste quali quella del presidente della regione Puglia Niki Vendola, paladino dell’antinuclearismo, appaiano poco comprensibili.
Vendola ha infatti dichiarato di aver accolto positivamente la sentenza della Consulta convinto che in questo modo la sua Puglia non diventerà mai un sito per centrali nucleari. A smorzare gli entusiasmi per fortuna ci ha pensato Domi Lanzilotta, consigliere regionale del Pdl, che ha fatto notare come la Suprema Corte abbia sì dichiarato l’illegittimità dell’articolo 4 del decreto attuativo della legge delega nella parte in cui non prevede che la Regione possa esprimere un parere, ma ha stabilito che tale parere non sarà vincolante. Più chiaro di così..