Da Favella 3000: “E chi se lo ricordava?”
Piccola nota – a causa del linguaggio a tratti troppo ingenuo abbiamo ritenuto di dover apportare delle piccole modifiche al testo originale, pur mantenendo intatto lo spirito dell’autore.
Sono trascorsi tre anni dal mio arrivo su quest’isola che credevo deserta.
Come faccio a saperlo? Di solito facevo la ceretta una volta a settimana, ora adotto metodi meno civili, ma a conti fatti saranno tre anni.
Mi sembra ieri, quando me ne stavo tranquillo a far risplendere il mio corpo oliato sul ponte della nave.
Poi, l’esplosione.
Abbiamo iniziato ad imbarcare acqua ed il resto è stato esattamente come quel documentario con Leonardo Di Caprio, o forse non era un documentario.
“Si salvi chi può” è un inno alla vita, più della lampada solare, più dell’happy hour, più del calcio…vabbé, forse non più del calcio ma il punto era sopravvivere ed io ho pensato “io può”.
Ora posso dire che sopravvivei, sopravvicqui, sopravvivissi…hem… Sono vivo.
Quando ormai il tutto era passato, la nave affondata, le persone risucchiate, gli squali si erano rifocillati e quell’insopportabile prurito al volto, causato dall’acqua salata, era passato, mi sono ritrovato su di un piccolo pezzo di parquet assieme a un bambino e una signora sulla quarantina.
Io sono un uomo, e gli uomini sanno cosa fare, studiano la situazione e si sacrificano se necessario.
È per questo che in base ai miei calcoli ho ritenuto opportuno gettarli in mare: il piccolo non ce l’avrebbe mai fatta e lei mi aveva chiesto se mi piacesse la filosofia.
Dopo giorni a veder diminuire la mia tonica massa muscolare sono arrivato qui.
Mi sono inginocchiato e ho pregato ringraziando lei, la Regina, la Madre di tutti noi povere anime senza agenzia: Maria.
Da allora molte cose sono accadute, quella che credevo deserta è invece un’isola popolata da una tribù di indigeni. Parlano una lingua incomprensibile, ma anche noi, col congiuntivo e condizionale, chi siamo per criticare?
Comunque, li ho squadrati, piccoli, neri, esili…no, gli esili sono quelli che vanno in esilio, loro erano magrolini e basta.
Non c’è voluto molto a diventare il loro capo, è bastato fargli vedere il mio corpo scolpito, le ali d’angelo tatuate sulla schiena e Maria e Maurizio sui pettorali e devono aver pensato che fossi una divinità.
Ora ho un trono, tutto mio, le loro donne, tutte, e non devo sceglierne una entro maggio.
Della vita terrena che facevo, poco mi appartiene ormai.
Ho deciso di fondare una nuova religione e per questo ho fecondato due volte, in questi tre anni, le quaranta donne del villaggio. Avrò la mia schiera di piccoli adepti: i figli di Maria.
Oh, Maria, se solo potessi vederli.
Ora sto bene, ho il mio team di calcio, il mio campionato: una sorta di triangolare a due squadre che vinco sempre io.
Mi manca la mamma, ma so che col mio atteggiamento non l’ho delusa, vero mamma? Scherzavi quella volta in cui mi hai detto di trovarmi un lavoro, come te e papà, tu non mi faresti mai questa crudeltà, vero mamma?
Per concludere, ho deciso di affidare al mare questa lettera scritta col sangue di uno dei tipi magrolini.
Vorrei rassicurarvi tutti e pregarvi di smetterla di dannarvi per me, lo so che vi manco e che ho lasciato un vuoto televisivo incolmabile. Ma io sto bene qui.
Solo un desiderio, un dono da parte vostra. Vi chiedo di portarmi, non importa quando, l’unica vera fonte di gioia per me, il motore unico che mi ha aiutato a sopportare tristi risvegli: lo specchio.
Vostro C.