Quasi un milione di spettatori in meno, ecco il dato più saliente. Si discute spesso di questo o quel telegiornale, di questo o quel direttore di testata, sottolineandone i meriti (qualità dell’informazione, capacità di aumentare gli ascolti) o i demeriti. Ma non si ricorda mai abbastanza questo dato: che i telegiornali nazionali mostrano, nel complesso, vari segni di crisi. Una crisi nei consumi ma anche nella qualità dell’informazione.
Analizzando il consumo dei telegiornali nazionali nella stagione 2009-10 a confronto con quella precedente si evince un dato clamoroso: gli spettatori che mediamente partecipano al rito serale passano da 20.400.000 (2008-09) a 19.472.000 ( 2009-10), con una perdita di quasi un 1 milione di persone. Naturalmente vanno tenuti in considerazione fattori contestuali: la diffusione di altri luoghi d’informazione (internet, canali all news), ma questo elemento non spiega, da solo, un dato così consistente in un lasso così breve di tempo. E poi il telegiornale della sera non è solo l’occasione per sentire delle notizie, è piuttosto un rito condiviso. A giudicare dalla qualità dell’informazione si comprende la disaffezione degli spettatori. Perché i notiziari televisivi sembrano tutti uguali: hanno sposato un modello ritenuto vincente, che si basa sulla progressiva diluizione delle hard news (politica/esteri/economia) in favore delle soft news (cronaca/curiosità/gossip).
Il Tg1 è quello che ha subito la metamorfosi maggiore, con la cronaca che sale dal 23% al 25% e la politica che scende dal 24% al 19%. Unico telegiornale in controtendenza, che guadagna ascolti, è il TgLa7. A Enrico Mentana tocca una sfida paradossalmente molto differente da quella che l’aveva lanciato al Tg5: rendere il suo telegiornale il più credibile, persino il più istituzionale.
(A FIL DI RETE di Aldo Grasso – Corriere della Sera)