Magazine Opinioni

La sfida nucleare nel Golfo: il caso degli Emirati Arabi Uniti

Creato il 27 settembre 2012 da Bloglobal @bloglobal_opi

di Giuseppe Dentice

La sfida nucleare nel Golfo: il caso degli Emirati Arabi Uniti
Gli Emirati Arabi Uniti saranno il primo Paese arabo del Golfo ad ospitare una centrale nucleare nel 2017. Nonostante le abbondati ricchezze fossili presenti sul territorio, il Paese risente da anni di una forte e crescente domanda interna di energia e per contrastarla il governo federale ha deciso di investire ingenti risorse nella ricerca di fonti energetiche alternative agli idrocarburi. Oltre agli importanti investimenti nelle rinnovabili, gli EAU progettano l’installazione di centrali nucleari in loco. Grazie a tale strategia di diversificazione energetica, Abu Dhabi potrebbe acquisire quella forza politica ed economica tale da renderlo un player politico-economico altamente strategico a livello regionale ed internazionale.

Abu Dhabi e la diversificazione energetica

L’economia degli Emirati Arabi Uniti è considerata dai principali istituti di ricerca e organizzazioni internazionali una delle più importanti e dinamiche realtà dell’intera regione del Golfo. Secondo i dati della British Petroleum, il Paese è l’ottavo produttore di petrolio al mondo con una produzione media giornaliera di 2.795 milioni di barili, che rappresentano circa il 70% delle entrate totali e che contribuiscono al PIL nazionale per il 37% (dati Economist Intelligence Unit). Questo fa si che esso sia il settimo Paese per riserve mondiali, concentrando al proprio interno 97,8 miliardi di barili (circa l’8% delle riserve totali), di cui l’emirato di Abu Dhabi detiene circa il 94% delle riserve petrolifere nazionali. Inoltre, gli EAU, possedendo oltre 6 miliardi di metri cubi di gas, sono il quarto Paese al mondo per quantità di riserve di gas.

Tuttavia, da alcuni anni gli Emirati hanno impostato una politica economica che mira ad un uso più oculato delle risorse a propria disposizione e ad una maggiore differenziazione delle entrate. Infatti, grazie a tale strategia di diversificazione il governo emiratino sarà in grado di attenuare la propria dipendenza dal settore oil promuovendo forti investimenti in settori tradizionalmente poco sfruttati dalle monarchie del Golfo, come le infrastrutture, il tessile, il settore del non-oil e, soprattutto, le fonti rinnovabili e il nucleare civile.

Proprio in quest’ottica, dal 2006 Abu Dhabi ha impostato un consistente piano di sviluppo delle energie alternative che, secondo i dati del governo, sarebbero in grado di generare entro il 2020 il 7% dell’energia totale nazionale. Questi progetti sono gestiti dalla società Masdar che rappresenta uno degli attori fondamentali nel perseguimento degli obiettivi prefissati nell’Abu Dhabi Economic Vision 2030, documento guida per la transizione degli EAU da un’economia basata sulle risorse naturali ad una incentrata sulla conoscenza tecnologica e sull’innovazione. Masdar, che opera principalmente nel campo delle energie rinnovabili, attraverso cinque unità integrate preposte a promuovere programmi e processi di eco-sostenibilità, avrà l’obiettivo di rendere Abu Dhabi un centro di eccellenza nella green economy e nel settore della clean technology. L’ultima unità integrata è Masdar City, fiore all’occhiello del programma governativo, la prima città eco-sostenibile al mondo a pochi Km da Abu Dhabi e pienamente operativa dal 2016. Rimanendo sempre in tema di rinnovabili, gli EAU, e più precisamente la capitale Abu Dhabi, accoglieranno il quartier generale di IRENA (International Renewable Energy Agency), l’agenzia internazionale per le energie rinnovabili.

Il nucleare civile come necessità energetica

Nonostante le ingenti risorse (circa 15 miliardi di investimenti) e gli sforzi profusi nelle fonti rinnovabili, il governo emiratino è consapevole che il contributo proveniente da un impianto solare o eolico potrà essere piuttosto modesto e quindi non in grado di coprire adeguatamente il fabbisogno energetico interno. Abu Dhabi, infatti, ha visto quasi raddoppiare nell’ultimo decennio il proprio consumo interno di elettricità, facendo stimare allo stesso governo un’ulteriore impennata della domanda di elettricità dagli attuali 15,5 gigawatt agli oltre 40 entro il 2020. A supportare le scelte energetiche degli EAU è anche anche uno studio del dicembre 2006 commissionato dal GCC (Gulf Cooperation Council) sull’uso pacifico dell’energia nucleare, nel quale viene messo in evidenza come la domanda interna di energia elettrica nel Paese emiratino, influenzata anche dall’aumento della pressione demografica (più 5% rispetto al 2011 secondo la World Bank), sarà destinata a crescere del 10% annuo fino al 2015.

Pertanto, non potendo sopperire alla richiesta di energia solo con il gas naturale o con le fonti rinnovabili, il Paese del Golfo ha deciso nel 2007 di avviare il processo negoziale per la realizzazione di una centrale nucleare in loco: nel febbraio 2007 Abu Dhabi ha stretto un accordo con l’IAEA per la promozione dell’energia atomica a scopi civili; nel dicembre 2009, ha firmato con gli Stati Uniti un accordo per la cooperazione nucleare pacifica, nel quale Abu Dhabi si è impegnata formalmente a non intraprendere né alcun processo di arricchimento dell’uranio, né di riprocessamento delle scorie nucleari – procedimenti attraverso i quali si costruiscono armi atomiche –, accettando, inoltre, le visite degli ispettori dell’IAEA per monitorare eventuali trasgressioni degli accordi. 

A queste condizioni il governo emiratino ha poi affidato ad una joint venture mista pubblico-privata la realizzazione del primo reattore nucleare. Nel dicembre 2009, la compagnia nazionale ENEC (Emirates Nuclear Energy Corporation) ha sottoscritto un memorandum con la KEPCO (Korean Electric Power Corporation), leader mondiale nell’impiantistica nucleare, per la realizzazione di una centrale nucleare nel 2017. Lo scorso 18 luglio le autorità emiratine hanno concesso tutte le autorizzazioni per dare avvio definito ai lavori. La centrale sarà dotata di quattro reattori da 1,400 megawatt; il primo di questi comincerà ad operare tra cinque anni, mentre gli altri tre saranno pronti entro il 2020. Il costo dell’operazione dovrebbe aggirarsi intorno ai 40 miliardi di dollari, 20 per la realizzazione dell’impianto e altri 20 per la gestione e manutenzione da parte della stessa KEPCO.

L’impianto sarà costruito a Bakra, a circa 300 km dalla capitale, mentre gli altri siti preposti ad ospitare i reattori sono ad al-Ruwais, a pochi Km dalla capitale Abu Dhabi, a Fujairah, hub commerciale sul Mar Arabico ed ad As-Sila, vicino al confine saudita, sito strategico per le esportazioni in Qatar e Bahrain. Secondo uno studio dell’aprile 2008 del governo, l’impianto di Bakra sarà in grado di soddisfare il 25% del fabbisogno della sola Abu Dhabi e circa il 12% del resto del Paese. Il ricorso all’energia nucleare permetterebbe, infatti, di ridurre di circa un quarto i costi di approvvigionamento energetico, con un evidente risparmio dei consumi interni ed, inoltre, con la possibilità di vendere l’energia prodotta a minor costo anche ai vicini del Golfo.

Oltre agli Emirati anche altri Paesi arabi, tra cui Arabia Saudita, Kuwait, Marocco, Giordania ed Egitto, starebbero valutando l’opportunità di adottare il nucleare civile, ma al momento solo il piccolo emirato del Golfo ha dimostrato di disporre delle tecnologie adatte a sviluppare un tale programma. Tuttavia, il delicato quadro geopolitico e il caso iraniano impongono la massima cautela riguardo al possibile sviluppo di programmi nucleari nella regione.

I risvolti regionali del nucleare emiratino

Pur essendo la diversificazione energetica la motivazione ufficiale per gli investimenti emiratini nel nucleare, la scelta nucleare del governo dell’Emiro Muhammad bin Rashid al-Maktum potrebbe essere letta in una duplice chiave politico-strategica: da un lato l’esigenza di rendere il Paese del Golfo un importante ed influente attore sia a livello regionale sia a livello internazionale; dall’altro, la volontà di contenere e contrastare l’influenza iraniana nella regione. Infatti, il “caso Iran”, percepito in tutta l’area mediorientale come il principale motivo di instabilità, potrebbe portare sia ad un incremento della tensione politica, sia ad una vera e propria corsa all’acquisto o alla produzione di armi nucleari tra i Paesi dell’area. Senza dimenticare che le relazioni tra diplomatiche tra i due Paesi rimangono complicate e tese anche a causa della disputa relativa alle isole nel Golfo di Abu Musa e Grande e Piccola Tunb.

Anche se gli Emirati Arabi Uniti hanno fin da subito chiarito i presupposti pacifici del proprio programma nucleare, gli eventi in corso, e nello specifico la capacità dell’Iran di dotarsi di un armamento nucleare, non si può escludere in futuro una conversione della tecnologia atomica da civile in militare, scatenando così una corsa alla proliferazione nucleare in tutto il Medio Oriente, con l’Arabia Saudita in testa a guidare il gruppo delle pretendenti. Al di là dei risvolti economici, si tratta di un messaggio chiaro all’Iran e alla comunità internazionale, un segnale che dimostra come gli EAU e le monarchie del Golfo non accetteranno colpi di mano iraniani nell’area (vedi i casi del Bahrain e di Hormuz) senza che Teheran rimanga impunita.

* Giuseppe Dentice è Dottore in Scienze Internazionali (Università di Siena)

/em


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :