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La (s)fortuna di san Sebastiano. Antropologia di un culto patronale nel Salento

Creato il 20 gennaio 2012 da Cultura Salentina
La (s)fortuna di san Sebastiano. Antropologia di un culto patronale nel Salento

Copertino, Colonna di San Sebastiano

San Sebastiano è uno tra i protettori civici più gettonati nel Salento. Il Martire, infatti, è patrono di ben cinque comuni: Copertino, Galatone, Gallipoli, Parabita e Racale, tutti in territorio della attuale diocesi di Nardò-Gallipoli.

La nascita del culto a san Sebastiano in terra salentina va inserita nella più ampia cornice del Quattrocento europeo. Nel sec. XV la Terra d’Otranto, come molte altre regioni d’Italia e d’Europa, vide una nuova tremenda diffusione di quel morbo nefasto che era la peste. Sin dall’inizio dell’epidemia fu invocata l’intercessione del Santo martire, già da tempo considerato protettore particolare contro il contagio. Quando nell’estate del 680 a Roma era improvvisamente scoppiata una violenta pestilenza, infatti, richiesto il patrocinio di san Sebastiano il male si era arrestato. Per tale episodio e per molti altri episodi simili si consolidò presto la fama del Santo come di un potente taumaturgo, specie contro i contagi epidemici. Non a caso, il papa san Gregorio Magno lo annoverò al terzo posto nella serie dei sette santi ausiliatori.

La (s)fortuna di san Sebastiano. Antropologia di un culto patronale nel Salento

Cattedrale di Gallipoli, Statua argentea di San Sebastiano (1770)

Una volta propagatosi universalmente il culto verso san Sebastiano, se ne rilesse la facoltà taumaturgica alla luce della Passio e delle rappresentazioni iconografiche ad essa ispirate. Per taluni studiosi, infatti, la particolare invocazione contro le pestilenze sarebbe da riportare ad una commistione di elementi tratti dal mondo classico e scritturistico con la cronaca leggendaria del martirio del Santo. Da tale narrazione si apprende che a Sebastiano fu inflitto l’atroce supplizio delle frecce. In queste si scorgerebbe il simbolo della collera divina nel pensiero giudaico (Salmo 7, 13) e della vendetta di Apollo nella letteratura greca (Iliade, I, 10-68). Per il fatto di essere scampato alla morte, nonostante i tiri degli arcieri, Sebastiano sarebbe stato assunto quale protettore contro le pestilenze, scagliate come strali dell’ira divina.Così pure il nostro santo fu invocato in periodi di tremende epidemie di vaiolo, tifo e colera che spesso, fino ai progressi della medicina moderna, erano facili a confondersi con la peste stessa.

Ai motivi precedentemente espressi per motivare la scelta di san Sebastiano quale patrono principale dei cinque comuni salentini, gran parte dei quali di tradizione italo-greca, ritengo ne vada aggiunto un altro: nella seconda metà del Quattrocento il rito latino iniziava a prendere il sopravvento su quello greco, che gli avrebbe completamente ceduto il passo solo alla fine del XVII secolo. Tra i latini si avvertiva con molta probabilità la necessità di presentare alla venerazione popolare, quasi prevalentemente orientale, figure di santi occidentali non meno affascinanti di quelli bizantini. Tra questi, i più amati dalla gente erano i santi guerrieri, divenuti emblema del compito proprio di ogni credente di difendere la propria fede, combattendo l’errore, fino all’effusione del sangue. I numerosi affreschi rupestri bizantini raffiguranti san Giorgio e san Demetrio, sparsi in tutta la Terra d’Otranto, ne sono una chiara testimonianza. San Sebastiano, militare e martire come loro, certamente non aveva nulla da invidiare a tali audaci intercessori. Perciò, per le caratteristiche comuni a questi suoi colleghi orientali, poteva apparire come la figura latina ideale ad attecchire in suolo bizantino, quale era il Salento dell’epoca. D’altronde, il nostro Santo fu molto venerato anche in Oriente. Tra i greci, infatti, se ne celebrava la memoria il 18 dicembre, anziché il 20 gennaio come nell’area latina.

La (s)fortuna di san Sebastiano. Antropologia di un culto patronale nel Salento

Galatone, Porta San Sebastiano

È però una fortuna relativa quella di san Sebastiano nel Salento: nei comuni in cui è protettore il suo culto è stato soppiantato o sorpassato da altri culti compatronali o parapatronali. A Copertino è prevalso il patronato del compaesano san Giuseppe Desa; a Galatone sono il SS. Crocifisso della Pietà e la Madonna della Grazia ad aver calamitato la devozione popolare; a Gallipoli si venerano in maniera preminente sant’Agata di Catania e santa Cristina di Bolsena; a Parabita il posto d’onore è riservato alla Madonna della Coltura. Solo a Racale il culto a san Sebastiano si mantiene saldo e vivace dal punto di vista formale e reale. Una crisi, quella del culto salentino a san Sebastiano, spiegabile attraverso le categorie di una nuova antropologia religiosa e culturale. Il popolo è ormai affascinato da ben altre figure di santità, ricercando il sensazionale, il prodigioso e il miracolistico. Ciò aiuta a comprendere il perché della “fortuna” di santi come padre Pio da Pietralcina, a volte inconsapevoli oggetti di strumentalizzazioni e fuorvianze devozionistiche. San Sebastiano non attira più perché, forse, non si avverte come un tempo il pericolo della peste in costante agguato. Si dimenticano quei mali che intaccano la vita, la dignità e la coscienza di milioni di persone. Per dirla con gli antichi, insomma: “a santo vecchio, non si accende lume”!


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