La sfuriata di Bet

Creato il 29 settembre 2011 da Fabry2010

Christian Frascella, La sfuriata di Bet, Torino, Einaudi, 2011.

di Guido Michelone

“Le scene finale valgono tutto il film” oppure “l’ultima canzone giustifica l’acquisto dell’intero cd”; così si esprimono i critici rispettivamente di cinema e di musica e così, analogamente, si è tentati di affermare giungendo alle ultime magistrali quattro-cinque pagine di questo nuovo romanzo, pagine che, dopo un colpo di scena, commuovono sino alle lacrime, come di rado succede a un giovane libro italiano: c’è in questo happy end costruttivo, un atteggiamento finalmente positivo, sereno, pacificato con l’esistenza umana: l’odio si trasforma in amore per la vita, il prossimo e se stessi; per far ciò il perno attorno a cui ruota l’intera vicenda architettata costruito su due livelli esegetici, due estremi che poi arrivano a toccarsi e congiungersi.

Da un lato La sfuriata di Bet porge come esemplare una vicenda personalissima che assurge a modello astratto, astorico o atemporale, insomma una moderna parabola o un insegnamento etico transgenerazionale, benché il lettore avverta subito che Frascella sta dalla parte dei giovani, a osservare dal basso e con umiltà il fallimento del mondo adulto. Dall’altro il testo si cala in una realtà tipica, ossia precipua non solo di una nazione e di un’epoca (l’Italia di oggi), ma, ancor più nel dettaglio, specchio o ritratto assai credibile e naturale della condizione urbana nel Nord postindustriale, in altre parole: Torino.

Quindi da un lato c’è Bet (Elisabetta Corvino, 17 anni, ripetente la terza liceo) che sale a emblema di una condizione femminile adolescenziale, la cui rabbia giovane è frutto dei vuoti familiari: genitori separati, sorellina morta in un incidente assurdo. Dall’altro però Bet è la ragazza anarcoide in equilibrio sociale tra la piccola borghesia e un nuovo proletariato, in una città ex feudo FIAT dove la fabbrica è ancora momento di lotta e la scuola un luogo di contestazione.

Bet per tutto il romanzo continua a farsi del male, spesso alla ricerca del bene per gli altri: e gli altri comprimari per via delle sue iniziative spesso repentine, imprevedibili, velleitarie, irrazionali, non sanno più come relazionarsi a lei: è un diciassettenne difficile per la madre (operaia), il compagno (impiegato), il ragazzo (studente di cui è innamorata nello stesso istituto), la fanciulla musulmana (unica a ‘capirla’), la nuova amica (futura ragazza-madre all’ottavo mese) che si muove come alter ego, tra sorella maggiore e grillo parlante.

Ovviamente il modello esemplare e la condizione torinese e quindi tanto la Bet solitaria ombrosa adolescente quanto la Bet anarchica combattente individualista non sono corpi separati ma tendono narrativamente a sovrapporsi come nella ‘sfuriata’ del titolo che tira in ballo il tam tam mediatico di nuovi e vecchi strumenti di comunicazione (e persuasione): e qui il rifiuto della protagonista a qualsiasi possibile integrazione con mezzi ufficiali (negarsi alle richieste di stampa e televisione rispetto al messaggio inviato sul web) vale forse come lezione morale che il romanziere vuole impartire sullo sfruttamento delle coscienze da parte del sistema informativo attuale.

Il libro comunque funziona grazie all’intreccio spesso ironico o divertente fra momenti rocamboleschi e personaggi assai ben tratteggiati. Gli episodi sovente tragicomici connotano dunque una situazione più che verosimile al punto che si potrebbe disquisire, sul piano letterario, di un ritorno al neorealismo, sia pur filtrato dalle altre forme degli ultimi sessant’anni di cultura italiana e internazionale, talvolta assai ben assorbite da un narratore capace di scrivere in modo coinvolgente senza però rischiare nulla sul piano dell’inventiva e dello stile. Non c’è traccia d’avanguardia o di sperimentazione, in questa prosa elaborata, a quanto pare, contattando direttamente gli studenti odierni, per farsi spiegare i loro linguaggi, che evidentemente stanno subendo l’ennesima fase di riflusso, involuzione o disistima.



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