“La signorina Euforbia” di Luigi Ballerini, San Paolo

Da Federicapizzi @LibriMarmellata

La casa editrice San Paolo pare continuare a non smentirsi: da qualche anno oramai ha un appuntamento fisso con il riconoscimento del Premio Andersen nella categoria per la narrativa.
E se l’anno scorso, e quello prima, era la fascia d’età dei più grandi a vederla vincitrice, oggi – per la precisione ieri: giornata nella quale sono stati resti pubblici i primi classificati delle varie terne – è nella categoria dei giovani lettori dai 9 ai 12 anni che trionfa.
Lo fa proprio con un romanzo che – caso vuole – ho terminato di leggere, con molta soddisfazione, soltanto un paio di giorni fa. Chiudendolo mi è rimasto stampato un sorriso appagato sul viso, come mi accade quando mi imbatto in un’opera che unisce freschezza, lievità e delicatezza e che riesce, in qualche modo, a giungere a una corda emotiva felice che, tendendosi in assonanza, mi restituisce armonia e anche un pizzico di allegria.

Il libro è “La signorina Euforbia” di Luigi Ballerini ed è una storia saporita e luminosa, dolce ma vibrante di un suo bel carattere, magica come può essere la vita, cioè speciale e miracolosa per chi i miracoli e la specialità sa vederli.
Uno dei poteri del romanzo è, infatti, quello di saper rimanere in equilibrio perfetto tra un senso di magia e un senso di realtà, come a suggerire – indicazione preziosa! – ai lettori che non c’è nulla nel quotidiano che non possa ammantarsi di incanto se solo si è capaci di crederlo eccezionale e mutare opportunamente il proprio punto di vista.
Immergendosi nella pagine si ha costantemente la sensazione di trovarsi di fronte ad eventi eccezionali e personaggi fatati, salvo poi rendersi conto che l’unico, ma ancor più straordinario, sortilegio è quello della cura – per ciò che si fa, per chi è intorno – e della capacità di entrare in empatia con gli altri.

La signorina Euforbia è una provetta pasticciera. Possiede un negozietto isolato, in una strada poco battuta dove confeziona dolci su misura.
I suoi pasticcini non portano il classico nome di bignè o di babà, di diplomatico o di millefoglie, ma vestono titoli più suggestivi come potrebbe-venirmi-una-buona-idea oppure non-abbattiamoci-e-troviamo-una-soluzione.
Sì perché nel laboratorio di Euforbia non si entra con le idee chiare su panna piuttosto che cioccolata oppure pan di spagna anziché frolla. Si accede, invece, con la propria vita, con un cruccio, un desiderio, un’esigenza dell’anima.
E sono esattamente questi ad essere ascoltati dalla pasticcera, che costruisce, assembla e cucina torte o mignon che non soddisfano solo il palato ma, soprattutto, il cuore.

Poteri paranormali? Alchimia? E’ quello che si chiede Marta, dodicenne sensibile e risoluta, vivace e piena di curiosità, quando, per caso, capita con la nonna presso il negozio di Euforbia e ne rimane affascinata.
Talmente colpita che, appreso che la donna cerca assistenti per un corso di cucina estivo, non si arrende fin quando non convince il padre ad iscriverla.

Marta e il papà – un professore di scuole medie appassionato e attento – hanno un rapporto affiatato d’affetto, sintonia e confidenza, strettosi ancor di più da quando la mamma della ragazzina è scomparsa in un incidente stradale.

Entrare nell’antro magico di Euforbia è per la giovanissima protagonista un evento ricco di aspettative, soprattutto per la singolarità del luogo e della donna, la quale, spilungona e affilata nell’aspetto, si rivela calda e affabile nei modi, insegnante carismatica e capace.
Ma nessun incantesimo! In pasticceria si lavora di braccia e fantasia, ci vogliono attenzione, precisione e amore, spinta a mettersi in gioco e voglia di fare.
In aggiunta, nel negozio di Euforbia, necessita la capacità di comprendere i clienti nei loro bisogni, compreso un pizzico di abilità psicologica e di competenza relazionale.

Marta non resta a lungo l’unica allieva del corso: già al secondo giorno si le si affianca Matteo, ragazzo in superficie difficile e spavaldo ma, in profondità, intelligente, acuto e generoso.
Tra i due scatta subito l’amicizia, supportata, oltre che da simpatia e sintonia di fondo, dalla gran passione che entrambi nutrono per l’arte pasticcera, dalla gioia di sentirsi accolti da Euforbia e dal sollievo di veder riconosciuti i propri sforzi con la soddisfazione del miglioramento.

Ma la serenità non dura troppo e ombre minacciose si allungano sulla bottega dei dolciumi e sui tesori che contiene. Uno sfratto, immediato e inopponibile, perché lo stabile deve essere abbattuto per far posto ad un nuovo centro commerciale.
Matteo e Marta, ovviamente, non ci stanno e sarà loro il compito di escogitare un piano che metta tutto in discussione.
Ce la faranno? Forse, quando la capacità di essere e di creare risiede nell’anima delle persone e non nelle cose fisiche non è tanto importante salvare o meno un luogo quanto piuttosto valorizzare i legami, gli affetti, l’impegno e gli ideali che attorno a quel luogo si sono formati.
Perché questi, parimenti all’arte e alla passione dei singoli, non potranno mai essere distrutti. Nemmeno dalla più potente e forzuta delle gru.

Un lieto fine non proprio classico ma, esattamente per questo, a mio parere, ancor più lieto.
Perché capace di andare oltre gli eventi, oltre la storia stessa, e di spingere il lettore a riflettere sui valori.

Un piccolo romanzo incantevole e, a suo modo, incantato che mette in scena personaggi dipinti con sapienza e garbo, differenziati nei tratti di caratterizzazione a seconda del ruolo rivestito nel racconto.
Ecco così che Marta e Matteo emergono nei loro lati adolescenziali, nelle piccole contraddizioni, nei moti che li portano ora verso l’età più adulta, ora li ancorano al periodo dell’infanzia.
I ragazzi uniscono così ritrosie a slanci, timidezze a spavalderie, l’una limpida, sorridente, decisa, l’altro più impacciato eppure, a momenti, geniale e risolutivo.
Entrambi hanno un segreto doloroso, entrambi non riescono a tirarlo fuori e aspettano la sicurezza dell’accoglienza per aprirsi, timorosi e speranzosi allo stesso tempo.
C’è poi Euforbia, enigmatica ed eccentrica, poco tratteggiata infondo. A volte appare un po’ strega, altre vulnerabile, a volte sembra sapere tutto, altre vacillare.
Emana un fascino d’altri tempi, come fosse sfuggita al consumismo dilagante per occuparsi, lei sola, di ciò che la gente porta, spesso con affanno, a volte con gioia, nel cuore.

Tanti poi i piccoli – grandi! – messaggi dolci nascosti nelle pagine. Dal valore della cura che si semina e poi, in qualche modo ritorna, all’importanza e alla bellezza di seguire la propria strada con entusiasmo. Dalla convinzione che ci si può rialzare anche nelle difficoltà più gravi, all’importanza del sostegno dell’amicizia e degli affetti…

Una storia buona e calda, gentile e, seppur non celi i momenti di buio, piena di luce.
Senza dimenticare che, raccontando in dettaglio tanti prodotti di pasticceria, si offre ad una lettura piuttosto golosa stuzzicando il desiderio di imparare – perché no – a cimentarsi con le creme e le sfoglie.

La narrazione testuale è inframezzata dalle piccole illustrazioni in bianco e nero di Sara Benecino che ben ne interpretano la briosità e la grazia offendo all’immaginazione figure semplici, fresche e allegre cui appigliarsi. E non trascurando un pizzico di giocosità e di ironia.

(età consigliata: da 8 anni)

Se il libro ti piace, compralo qui: La signorina Euforbia, maestra pasticciera


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