La sindrome del criceto

Da Gmroberto

Scorte di tabacco. A scanso di equivoci, questa *non* è la mia...

L'impietosa diagnosi è di Justyna: sono un accumulatore compulsivo di scorte. Per anni ho tentato di negare a me stesso e agli altri la scomoda verità, ma messo di fronte a una collezione di CD che comprende (tra l'altro) due integrali complete di Mozart, ventotto versioni diverse del secondo concerto per pianoforte di Brahms e dodici delle Nozze di Figaro mozartiane; confrontatomi con gli scaffali della dispensa gementi sotto il peso degli spaghetti e dei vermicelli che imperterrito continuo a comprare tutte le volte che vado a fare la spesa; ed essendomi reso conto che ci sono rispettabili gattili dotati di provviste di croccantini  e sabbietta inferiori a quelle che mediamente sono a disposizione dei miei due gatti, ho dovuto ammettere che sì, forse una certa tendenza all'incetta e all'ammasso non mi è del tutto estranea. Con precedenti di questo tipo, il trend che avrebbero seguito i miei acquisti di tabacco era - ahimè - fin troppo facilmente pronosticabile.
In questo campo specifico però ho potuto scoprire con una certa soddisfazione che non ero da solo: che creare e mantenere un caveau di tabacchi da pipa era un'operazione niente affatto insensata.
Ma di che si tratta? Semplicemente di comprare in un fissato arco di tempo più tabacco di quello che si riesce a fumare, mettendo da parte l'eccedenza che si viene così creando.
E' un'operazione che ha una serie di motivazioni che a mio parere la rendono attraente anche per chi non è affetto da quella che Justyna ha icasticamente battezzato come  sindrome del criceto:
- il primo motivo è di natura pedestremente, grettamente economica: anche se può sembrare controintuitivo, è innegabile che  - dato che il tabacco aumenta costantemente e invariabilmente di prezzo -  farne scorta aiuta a tenere basso il costo medio di una pipata
- il secondo motivo attiene invece alla disponibilità a lungo termine delle miscele. Alcuni tabacchi cambiano di produttore o di modalità di produzione o di composizione nel corso degli anni, pur mantenendo inalterata la denominazione: i Dunhill dopo essere stati prodotti per lunghi anni dalla Real Casa del Bianco Puntino sono poi passati a Murray, che li ha infine ceduti a Orlik; il Capstan è attualmente prodotto da Mac Baren, i Rattray's da Kohlase&Kopp. Tutti cambiamenti accompagnati da cambiamenti del gusto; altri tabacchi poi vengono semplicemente smettono di essere prodotti,  o anche solo di essere commercializzati nelle lande a cui si ha facile accesso. In tutti questi casi le scatole comprate due, cinque o dieci anni prima diventano l'unico modo possibile per assaggiare tabacchi nel frattempo geneticamente mutati o scomparsi.

Il detonatore di questo post: una latta di Hal O' The Wynd invecchiata tre anni.


- il terzo motivo è probabilmente il più valido in un'ottica epicurea: molti tabacchi invecchiando cambiano in meglio. Succede un po' come per le persone: l'età smussa certi spigoli, arrotonda certe asprezze e tende a rivelare la personalità più autentica. I tabacchi che maggiormente beneficiano di lunghi soggiorni nel caveau sono quelli con le più alte percentuali di zuccheri, grazie ai quali i batteri presenti nel tabacco possono continuare a lungo la loro opera: e quindi senza dubbio i Virginia, e più quelli chiari che quelli scuri. Basta solo un anno di invecchiamento per tirar fuori da miscele come il Golden Glow di Samuel Gawith o il Capstan giallo una struttura e una profondità assolutamente insospettabili nel prodotto fresco. Anche le miscele inglesi si giovano di un po' di sosta in dispensa: in questo caso però c'è da tener conto che la tendenza all'amalgama e all'arrotondamento potrebbe sul lunghissimo termine far perdere un po' di incisività a questi tabacchi.
I cosiddetti "naturali" (miscele a base di Burley, Kentucky, tabacchi bruni francesi, Semois) non risentono particolarmente della stagionatura, nè in meglio nè in peggio: e ciò si spiega col tenore relativamente basso di zuccheri di questi tabacchi; infine gli aromatizzati al caffè, alla fragola o al tiramisù conviene - se proprio non si riesce a lasciarli sugli scaffali del tabaccaio - fumarseli il più "freschi" possibile, prima che l'aromatizzazione evapori e lasci percepire la qualità in genere mediocre delle foglie utilizzate.
Tanto per dare qualche numero di riferimento: i Virginia evolvono sostanzialmente all'infinito, anche se si tratta di un processo asintotico. I cambiamenti più spettacolari avvengono di norma nei primi cinque-dieci anni, ma ad avere costanza l'invecchiamento può essere spinto anche molto ma molto oltre: non è possibile dare a parole un'idea di quello che può essere fumare un Virginia (o un Virginia-Perique) stagionato quindici o vent'anni.
Le miscele col Latakia raggiungono probabilmente il loro apogeo dopo tre-cinque anni, ma è una tipologia di tabacco per la quale contano molto i gusti personali e la specifica miscela: avendo avuto modo di confrontarli, io ad esempio preferisco lo Skiff relativamente "fresco", mentre il Samarra di Pease è a mio giudizio decisamente migliore dopo qualche anno di riposo.
Ma c'è anche dell'altro: a mio modo di vedere invecchiare tabacco ha - oltre a quella pratico-edonistica - una valenza prettamente morale, dato che è un'attività (ammesso si possa definirla tale) che insegna il valore del tempo che passa, illumina i benefici della tranquillità e del riposo e soprattutto dimostra luminosamente che non tutto è in vendita. Non importa quale cifra siate disposti a spendere per comprare tabacco, ma per avere un Virginia invecchiato vent'anni vi ci vorranno vent'anni e non un giorno di meno (a meno ovviamente che non bariate comprando scatole già invecchiate, il che peraltro non toglie validità all'affermazione).
E infine, forse la cosa più importante di tutte è che fumare tabacco stagionato significa ritrovare e far passare attraverso quei condotti di radica e di ebanite un po' di ciò che eravamo. Significa riappropriarci di frammenti di noi stessi di cui magari avevamo perso finanche il ricordo. E' una piccola madeleine ma senza zucchero e senza grassi: chi l'ha detto che fumare "nuoce gravemente alla salute"?

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