Heybrà la prima volta che l'ho letto a voce alta è stato a Bologna, c'erano poche persone, ma selezionate, ero preso discretamente bene e allora ho letto heybrà. Un cazzotto nello stomaco.Heybrà non è una ròba facile, da leggere. Né a voce alta, né sottovoce.Quando presto la voce a Itzik, in heybrà, m'attanagliano delle turbe messianiche, onnipotenza frammista a cazzutitudine.
Più di un lettore m'ha confessato d'aver avuto un processo di immedesimazione con il tifoso del Beitar Gerusalemme ondivago: prima tutt'un macheccazzodìci, poi tutt'un certochepperò, che insomma poi, alla fine, ti rimane come una spina conficcata nel rene, anche se non riesci a capire quale, quello di destra, o quello di sinistra.
Nel numero 3 di The Blizzard c'è un pezzo, For Richer, for Poorer, l'ha scritto Shaul Adar e niente, m'ha colpito perché riprende la storia di questa scellerata compagine, il Beitar Gerusalemme, un po' dove l'ho abbandonata io in Heybrà, ma soprattutto fa qualcosa di sociologicamente molto più interessante: traccia i contorni di una vera e propria sindrome che sembra attanagliare i gerosolimitani giallennéri, e anche un po' me, quando leggo quella storia: la Sindrome di Gerusalemme.
Gerusalemme è una città tossica e bipolare. Sempre pronta ad accogliere i falsi messia. Ogni anno, racconta Adar, milioni e milioni di turisti calpestano le stesse strade che hanno calpestato Gesù Cristo e Re David. Ogni anno, dieci turisti almeno vengono ricoverati nei locali istituti di igiene mentale con patologie ossessive di stampo religioso, crisi depressive e altre esperienze psicotiche, tanto che s'è reso necessario dargli proprio un nome, a questa psicosi infettiva, che è giustappunto la Sindrome di Gerusalemme.
La gente va a Gerusalemme, parla di Gerusalemme, si trova ad avere a che fare in qualche modo con Gerusalemme e diventa scema, davvero, impazzisce, non c'è una spiegazione, anzi sì: la città non c'entra nulla, o meglio, c'entra marginalmente. La gente è pazza già da prima, dice il dottor Moshe Kalian, racconta Adar, e Gerusalemme è il palcoscenico sul quale recitare La Messinscena Della Vita.
Ed è una ròba che travalica le barriere geografiche, ha più a vedere con una sorta di state of mind.
Per dire, c'è questo faccendiere ebreo americano, Guma Aguiar, che nel duemiladièci convoca una conferenza stampa e comincia a dire che "certo, ora torno e mi compro il Beitar... [...] Investirò 20 milioni di dollari. [...] Voglio portare il Barcellona a Gerusalemme. [...] Amo questa città, e voglio che il suo nome risuoni per tutto il mondo.". Il giorno successivo alla conferenza stampa, poi, arrivano i fratelli e le sorelle di Guma, lo prendono a braccetto, salgono in macchina, va tutto bene Guma, e lo portano a un istituto di igiene mentale di Miami. True story.
Quando i tifosi della squadraccia gerosolimitana intonano coretti tipo Le stelle ne saranno testimoni / il razzismo è il solo nostro sogno / tutt'il mondo griderà / niente Arabi al Beitar!, quindi, ecco, non lo fanno perché son brutte persone. Hanno la sindrome di Gerusalemme.
E se mi vedete troppo infojato, quindi, mentre leggo Heybrà, quindi, niente: non preoccupatevi. Prendete appunti, se volete, sui vostri taccuini da laureando in medicina, è solo una forma lievissima di Sindrome di Gerusalemme, si gonfiano un po' le vene del collo e appare un insano brillìo negl'occhi, ma poi vedete, basta una birra, o del paracetamolo, e puf come se niente fosse stato, passa subito.
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