Il suono crunch bello compatto esce da una Les Paul Custom bianca e non dalla Jag-Stang Cobain style, ma a primo impatto sembra che il risultato non sia niente male. Scherzi a parte, vista la quantità di grunge presente nel primo, omonimo album della band capitolina, il paragone con il maestro di Seattle sorge spontaneo e, oltre a farci notare tutte le somiglianze che, naturalmente, emergono tra una qualsiasi grunge-rock band e i Nirvana, ci offre anche spunti interessanti su quelle che sono invece le differenze.
Innanzitutto La Sindrome di Kessler non è nata negli anni 90 nello stato di Washington, bensì nel nuovo millennio a Roma, e si sente. La pasta sonora è curata, per niente grezza, e anche i “wall of sound” suonano in una maniera che sembra studiata in ogni minimo decibel. La struttura dei pezzi è abbastanza standard ed omogenea, con lead piuttosto aggressivi, ritornelli potenti, chitarre sature ritmate e presenti e tempi praticamente sempre in quattro.
Niente pare lasciato al caso, con il rischio che il prodotto finale possa risultare un po’ troppo piatto e plasticoso per un genere (sia esso grunge, rock o noise) che dovrebbe fare della genuinità il suo piatto forte: rischio evitato grazie alle varie influenze presenti, dal pop in perfetto stile italiano all’hard rock, che rendono l’album non così prevedibile come ci si potrebbe aspettare. Il lavoro è coerente, i testi completamente nella lingua di Dante aggiungono ad un genere spesso e volentieri anglofono una dimensione in più, mentre tutti i pezzi, anche se non si fanno portatori di chissà quale innovazione stilistica, hanno una carica emotiva di spessore che non lascia indifferenti.
La formazione è composta da Antonio Buomprisco, frontman carismatico con una vocalità che più che a Cobain fa pensare alla Nannini (è una nota di merito), Canio Giordano alla chitarra/voce/effetti , Roberto Cola al basso e Luca Mucciolo alla batteria. Il trend sembra essere positivo, i miglioramenti sono palpabili.
Davide Contu
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