di Claudia Boddi
La sindrome di savant, detta anche “savantismo” o sindrome dell’idiot savant (dell’idiota sapiente) è un disturbo cognitivo e della relazione poco conosciuto perché non ancora ben classificato in casistica e molto spesso rigidamente associato all’autismo. Anche quando fu portato all’attenzione del grande pubblico da Dustin Hoffman che, nel 1988, in “Rain man” interpretava la storia vera di Kim Peek – il savant capace di leggere già all’età di 18 mesi, senza essere in grado di camminare fino a 4 anni – fu scambiato per autismo e con quell’etichetta è stato per sempre ricordato. In realtà, il protagonista del film, come un’altra cinquantina di persone al mondo, era un savant: uno di quei rari individui che, pur avendo macroscopiche difficoltà cognitive, possiedono la scintilla del genio in un settore della vita in cui eccellono e si attestano di gran lunga sopra la media.
Una persona affetta dalla sindrome di savant può non essere in grado di allacciarsi le scarpe da sola ma può essere capace, per esempio, di risolvere difficilissimi problemi logicomatematici in pochi secondi. Generalmente, si è portati a pensare che questa sia una caratteristica propria dei disturbi autistici ma non è una conditio sine qua non. Infatti, molti soggetti autistici non possiedono doti eccelse in qualche ambito specifico, così come alcuni savant possono essere o meno autistici.
Albert Einstein, tra i nomi illustri con la sindrome di Savant – ledieci.net
È curioso come il disturbo sia stato identificato per la prima volta da John Langdon Down – il medico che definì la sindrome di Down – tra il XIX e il XX secolo. All’inizio esclusivamente collegato all’autismo per l’alta incidenza di persone autistiche che presentavano i sintomi della sindrome, finì piano piano per distaccarsene fino a trovare un proprio ambito specifico. Approfondito in seguito da numerosi studiosi, oggi il suo massimo conoscitore è Darold Treffert che ne ipotizza cause di natura genetica, senza però escludere derivazioni traumatiche pre o postnatali o verificatesi durante l’infanzia.
Tra le manifestazioni più prodigiose del savantismo, si annoverano quelle di Kim Peek, ispiratore del film “Rain man” – dotato oltre al resto di un orecchio musicale assoluto – che, fino a poco prima di morire nel 2009, era in grado di leggere due libri contemporaneamente ricordando alla perfezione più del 98% del contenuto. Cui si aggiungono quelle di Daniel Tammet, capace di imparare perfettamente una lingua straniera in una settimana (al momento ne conosce dieci) e di elencare i decimali del pi greco, attribuendo loro un colore, una forma e un’emozione. Fino ad arrivare a Stephen Wiltshire, capace di riprodurre esattamente una città, con tanto di edifici, proporzioni, strade, numero delle colonne del Pantheon, antenne, balconi e chi più ne ha più ne metta, dopo averne osservato lo scorcio per un massimo di venti minuti da un elicottero.
Un’altra famosa pellicola, ispirata alla storia vera di un savant, è “A beautiful mind”. Per niente brillante tra i banchi di scuola e tendente all’isolamento sociale, John Forbes Nash Jr, genio dell’economia, con la sua diagnosi di schizofrenia, nel 1994 vince il premio Nobel per dei risultati ottenuti negli anni Cinquanta sui giochi non cooperativi dai quali più tardi prenderà vita “La teoria dei giochi”.
Nomi illustri compaiono anche nel nostro passato: da George Orwell, Albert Einstein, e Ludwig van Beethoven, a Kant, Mozart, Carroll, Hitchcock e Warroll, persone affette anche – secondo il professor Michael Fitzgerald – dalla sindrome di Asperger (una lieve forma di autismo), che ci hanno regalato l’immortalità del loro genio.
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