Luciano Troisio, Strawberry-stop, LietoColle, Faloppio, 2008
In Strawberry-stop, libro di poesie che ha come protagonista il viaggio (ovvero l’estroso e perenne vagabondare dell’autore in terra asiatica), quasi ogni testo è caratterizzato da periodi sapienti e intricati che, mescolando principali e subordinate in un groviglio trafelato di parentesi ripetute (siano esse quadre o tonde), si manifestano per ciò che realmente sono: una sequenza interminabile di vocaboli, sintagmi o locuzioni, ma anche una fuga concitata, imperterrita e prospettica d’incisi continui, che a sprazzi improntati alla critica sociale, si completano a vicenda, formando un pieno orchestrale di frasi tambureggianti, nel quale ogni singolo pensiero è uno strumento musicale a sé che riprende e rielabora il tema dominante del viaggio, per tramutarlo in riflessione compulsiva sulla vita: vale a dire in un espresso desiderio d’analisi, non di rado sostenuto da un’ironia farsesca, che sfiora in molti casi i virtuosismi ludico-polemici (nonché sperimentali) del grande Palazzeschi.
Pietro Pancamo
Luciano Troisio, Nuvole di drago, Edizioni Il Foglio, Piombino, 2009
In buona sostanza avvicinandosi alla “passione” universale che Dio nutre per ogni particola del creato (sia essa uomo, animale o luogo geografico), chi sulla Terra avverta il bisogno d’istruirsi, per acquisire una maggior consapevolezza, si ritrova sul serio ad amare tutto e tutti: perché si accorge ben presto che qualunque incontro – con persone, cibi, cose, civiltà, monumenti (o magari paesaggi al gran completo di flora e fauna) – è un’occasione preziosa per accrescere il patrimonio delle proprie conoscenze e dunque arricchirsi. Forse è questo per davvero il messaggio che Luciano Troisio (globe-trotter di professione, forte di poesie e novelle pubblicate in passato dalla Marsilio Editori) cerca di propagare mediante l’afflato filosofico del volume Nuvole di drago, fervido diario di viaggio in cui – mentre un sinuoso intrecciarsi di toni colloquiali ritrae (con movenze talora narrative) le tappe salienti di otto itinerari fra, ad esempio, Thailandia, Cambogia e Cina – la sconfinata, “versatile” e multiforme interezza del mondo (qui simboleggiata dalle sterminate sfaccettature del continente asiatico e del suo vasto compenetrarsi di culture) viene descritta per immagini e visioni ariose, che sembrano quasi progettate per il grande schermo. In altre parole, se nel 1948 il regista e critico francese Alexandre Astruc aveva suggerito di usare la macchina da presa a mo’ di penna stilografica, Troisio – spinto dal desiderio d’imparare e dalla sete di vita (sete adorante!) che ne consegue – opera il processo opposto, tramutando la penna in una sorta di obiettivo. O meglio di cinecamera, che nulla si lascia sfuggire ed anzi – con piglio instancabile – scruta, osserva, inquadra. A che scopo, però? Dare sfogo a un’ansia di erudizione, certo, ma anche costituirsi prova scelta e filmica di un teorema ineludibile: infatti – analogamente a un campo lungo e profondo (di quelli spesso capaci di mostrare, nel medesimo istante, un insieme eterogeneo e variegato di gesti, individui e oggetti) – ogni pagina del libro si risolve sistematicamente in un “vorticare” continuo e disparato di voci, visi e suppellettili che – coinvolgendo per giunta pagode, templi, scimmie, palme, statue del Buddha, monete d’annata, baguette di pane, motorette sommarie e sferraglianti, azioni e reazioni – si rivela espressamente concepito per chiarire (di più: testimoniare) che nella nostra realtà gli eventi come le situazioni si sviluppano sempre all’unisono (parallelamente, vale a dire) aggiogando l’esistenza nel suo complesso alla legge inevitabile della contemporaneità e della complanarità.
Pietro Pancamo