La sinistra dei sinistri.
Creato il 15 dicembre 2014 da Lostilelibero
Cose pese...
Non è affatto facile riuscire a
contenere ciò che vorrebbe essere contenitore. Non è nemmeno impresa semplice tentare
di definire, tra camaleontismi e opportunismi, la storia della politica di
sinistra (ammesso che ve ne sia una).
Sarebbe persino stupido, nel tentativo di tracciarne una determinazione, trovare
una data sul calendario da cui far discendere la sua “gloriosa” epopea, eppure,
tanto per compiacere proprio quel “materialismo storico” a cui essa sembra originariamente
riferirsi, vi è forse stato un evento storico più significativo di altri. Un
avvenimento, simbolico ed esemplificativo allo stesso tempo, che incarna il topos a cui la sinistra sembra essersi
voluta spesso ispirare. Nella Prima Internazionale londinese del 1864 emersero
già le iniziali contraddizioni di un movimento che raccoglieva al contempo
istanze puramente libertarie, individualiste, e altre più “pratiche”, che si
battevano invece per la conquista del potere n’importe quoi. I comunisti, minoranza a quell’assemblea,
surclassati numericamente da anarchici, socialisti e mazziniani, riuscirono,
attraverso un colpo di mano del guru Marx,
a prendere la guida del nascente movimento operaio internazionale,
quello che portò poco dopo all’espulsione proprio della corrente libertaria che
ne era stata la maggioranza promotrice (in realtà gli anarchici si
auto-espulsero da soli, probabilmente tediati dalla protervia marxista, quella
che non ha dubbi e incalza con la ferocia di “chi ha sempre la verità in tasca”).
Nulla di nuovo, in fondo il marxismo ha sempre aspirato a sostituire il potere
borghese con un altro tipo di potere. Il suo. Quello paludato sotto il nome
delle masse proletarie. E proprio come le masse sue sodali, almeno apparentemente,
l’uomo sinistroso sembra saper pensare esclusivamente per classi, per gruppi,
clientele, fazioni, soci e società, salvo
poi comportarsi da perfetto egoista quando viene toccato nei propri interessi
personali. Il comunista tout court rinunciò
quindi alla propria individualità, abnegandola nel partito, ma solo perché
attraverso il partito poté arrivare a conquistarsi una posizione di potere
personale. In tal senso, in barba ad ogni desiderio di laicità, il topos “di sinistra” fa ciò che farebbe
ogni credente, ogni uomo pio, di fede. Egli non pare infatti comportarsi
diversamente dalla Chiesa cattolica sua antagonista storica. Messa alle strette
dal protestantesimo incalzante, si mondanizza, fa un po’ di marketing, benché
in salsa tridentina, per mantenere ciò che gli è più caro: il potere. Vanno
interpretate in questo senso anche le
parole pronunciate del rottamatore Matteo dopo la vittoria schiacciante alle
primarie (“oggi non finisce la sinistra,
finisce una classe dirigente”). E ha rottamato, seppur ambiguamente, ma
solo per lottizzare i posti lasciati vacanti dalla vetusta politica,
rimpiazzandoli coi nuovi paggetti della nomenklatura, coi vispi giovani, o più
generalmente con qualsiasi persona pronta
a riconoscere quel nuovo potere che ha semplicemente “cambiato verso”. La moderna sinistra dem, quella dei tweet e degli
hashtag, femminile e supergiovine, si obbietterà forse non a torto, non ha però
nulla a che vedere coi suoi austeri padri nobili (il Togliatti mandante dell’omicidio
Berneri, o il sant’uomo di partito Berlinguer, quello del “compromesso storico”
fatto anche per “radicare” i successi ottenuti dal PCI a livello di potere; quello che ha dato inizio, proprio per compiacere la spartizione degli
interessi di parte, anche alla logica degli aumenti incontrollati del debito pubblico:
della serie, prima dell’Italia viene sempre il partito, come appunto insegna la
dottrina dell’internazionalismo). Eppure sotto sotto, raschiando le
incrostazioni di facciata, i lustrini e le paiettes, si ha la sensazione che
qualcosa di profondamente radicato sia rimasto nei comportamenti, seppur ben
paludati, dei novizi “uomini di sinistra”. Forse non si sentono più i migliori,
snobbando il popolo a cui chiedono il voto, come facevano invece i grandi moralisti di un tempo (mai completamente estinti). Ma come i suoi illustri precedenti, gli
aitanti democratici di oggi sanno che quel che importa resta sempre e comunque
l’occupazione del potere, con ogni mezzo. Fosse anche quello di reclutare
qualche rom scopertosi improvvisamente militante e fans democratico. (“i mezzi adeguati ai fini” lo possono dire
solo coloro che han fatto del “materialismo”, del “positivismo” e della concretezza una
religione di vita. Siano essi industriali di grido come Ford, o invece
bolscevichi integrali come il “piccolo padre” Stalin. Liberalismo e comunismo,
da questo punto di vista, sembrano solo le due diverse facce di una stessa
medaglia).
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