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La Situazione di Galatina nell’Italia post-unitaria

Creato il 29 marzo 2011 da Cultura Salentina

di Tommaso Manzillo
La Situazione di Galatina nell’Italia post-unitaria
Con la battaglia del Volturno e l’ingresso di Garibaldi a Napoli, il re Francesco II fu costretto alla fuga, ma i galatinesi non mostrarono mai grande entusiasmo per questo passaggio reale, perché le radici filo borboniche, nella nostra città, erano ancora molto profonde. Ci volle l’intervento del decurione Nicola Bardoscia, affinché il sindaco, Antonio Dolce, indisse la data degli scrutini il 21 ottobre 1860, presso il Corpo di Guardia dei Vigili Urbani, situato presso la Torre dell’orologio (costruita nel 1861 come simbolo dell’Italia Unita).

L’amministrazione galatinese aveva faticosamente soffocato le manifestazioni d’entusiasmo dovute alla notizia dell’ingresso di Garibaldi a Napoli, mentre pochissimi avevano espresso il loro voto, nonostante gli interventi di Nicola Bardoscia, Fedele Albanese (che fu uno dei primi ad entrare, come giornalista, nella  “breccia di Porta Pia” del 20 settembre 1870, insieme a La Marmora) e Innocenzo Calofilippi. Per sconfiggere l’inerzia dei galatinesi, determinante rimane l’intervento del medico Nicola Vallone, per richiamare gli elettori alle urne, mentre bivaccavano in piazza San Pietro. Nicola, figlio più giovane di Donato e morto in giovane età, ebbe una brillante carriera di medico e scienziato, spesso lontano dalla sua città: a Napoli, per conseguire la laurea in medicina; a Vienna, entrò in contatto con gli ambienti accademici e culturali approfondendo gli studi professionali e la ricerca e la sperimentazione in una branca importante della scienza medica, ossia l’anatomia patologica; alla Sorbona di Parigi, dove seguì le lezioni di Claude Bernard, considerato tra i più grandi scienziati del tempo; a Berlino dove subì l’influenza delle idee democratiche del suo maestro e deputato parlamentare Rudolf Virchow, uno dei più autorevoli esponenti dell’anatomia patologica. Nicola Vallone rappresentò un modello di cultura politica e un prestigioso referente nelle relazioni sociali, proiettando la famiglia nella politica attiva, grazie anche al forte influsso che subiva dall’ambiente liberale galatinese, nel quale erano influenti le figure di  Pietro Cavoti, Berardino Papadia, Giustiniano Gorgoni e Rosario Siciliani. Ritornando al 21 ottobre 1860, Il voto si esprimeva con l’uso dei legumi, dato l’alto tasso di analfabetizzazione: le fave erano per i sì, mentre i fagioli per il no. Il responso fu di 1257 sì, più 1253 voti favorevoli espressi dai forestieri che stavano a Galatina per il mercato.

Dopo la proclamazione del regno d’Italia (17 marzo 1861), la carta fondamentale o Statuto cui fare riferimento era quello Albertino, varato e concesso al popolo in fretta e in furia nel 1848 da Carlo Alberto di Savoia-Carignano, il quale rimase in vigore, seppur con opportune modifiche, fino al 1946, quando fu adottato un regime costituzionale provvisorio, in attesa della prima vera Costituzione del 1948. Così, partì la nuova macchina amministrativa italiana, con la nuova fisionomia dei governi comunali, dove, abolito il decurionato, si insediarono i primi consigli comunali e la giunta. Galatina all’epoca aveva una popolazione di poco inferiore ai 10.000 abitanti e, pertanto, il sindaco veniva eletto dai consiglieri comunali, scelta prima affidata a nomina regia. Antonio Dolce fu l’ultimo sindaco di nomina borbonica e il primo di “nomina italianissima”. L’amministrazione galatinese si costituì sulla base di vecchi baronati di discendenza borbonica, esprimendo una forte resistenza all’apertura verso ogni forma di intervento sul territorio e nel sociale.

Le prime elezioni comunali si svolsero il 26 maggio 1861, mentre Nicola Bardoscia divenne il primo deputato galatinese nelle elezioni del 1880, riconfermato poi nel 1882, battendo lo stesso Pietro Siciliani, contribuendo alla diffusione della coscienza democratica della sua gente. Grazie all’avv. Bardoscia, si realizzano opere quali la rete ferroviaria, in particolare il tronco di strada ferrata Zollino-Galatina-Gallipoli, soluzione osteggiata dal Depretis che pretendeva un collegamento diretto tra il capoluogo e il porto salentino, mezzo indispensabile per lo sviluppo non solo economico di Galatina, ma anche per la creazione di un tessuto sociale fatto di scambi culturali e di rapporti tra zone geografiche distanti. Proprio dalla questione della realizzazione della strada ferrata, si creò un ceto dirigente galatinese tutto collocato nell’area di sinistra, grazie al binomio Bardoscia-Viva, chiudendo la Destra di fronte ad una Sinistra aperta socialmente, guidata da Luigi e Pietro Vallone, insieme a Giuseppe Siciliani, Pasquale Micheli, Celestino Galluccio, Raffaele Papadia e Antonio Romano.

Esponenti di spicco della politica galatinese post-risorgimentale e post-unitaria furono l’ingegnere Antonio Vallone e l’avvocato penalista Carlo Mauro, che contribuirono in modo significativo a quella sterzata nella mentalità tra il ceto medio e la classe operaia, per un recupero globale della condizione sociale locale. L’ingegnere Vallone prese il posto dell’avvocato Nicola Bardoscia, andando alla Camera dei Deputati nel 1900, unico pugliese nelle fila dei repubblicani, battendo il suo avversario magliese De Donno, mentre l’avvocato Mauro prese in eredità quella fascia dei seguaci di Paolo Vernaleone (1859 – 1902), appartenenti alla classe contadina e operaia, il primo vero socialista galatinese. Vernaleone, più che discutere di ideologie o strategie politiche, preferiva occuparsi principalmente dell’aspetto sindacale dei lavoratori e del mondo operaio, tanto che rifiutò la candidatura alle elezioni politiche del 1897, nel collegio di Maglie-Galatina. Di lui oggi si ricorda soltanto con l’intitolazione di una strada nel rione Nachi.

In Antonio Vallone e nel suo repubblicanesimo sono incarnate le tematiche e le istanze della questione meridionale, come l’ordinamento regionale, la revisione tributaria e la lotta contro il protezionismo e il monopolismo. In questo modo assunse in Puglia una posizione di primo piano, “distinguendosi in una valida tradizione di cultura laica e democratica di origine e formazione meridionale” (Virgilio G., “Memorie di Galatina”, editore M. Congedo, Galatina, 1998, pag. 13). Grazie all’intervento dell’ingegnere Vallone e del fratello dott. Vito, si deve la soluzione positiva ai tremendi fatti del giorno di “Cristo Risorto” del 1903, quando alla popolazione affamata, a causa di un inverno rigido caratterizzato da scarso lavoro, fu negato dal sindaco Mario Micheli, il sussidio giornaliero. L’ingegnere Vallone si impegnò sempre attivamente per le cause del Sud, soprattutto con i suoi interventi alla Camera contro la crisi vinicola del 1906, la concorrenza della Spagna nella produzione dell’olio e contro lo strapotere commerciale del Nord favoreggiato proprio dal Giolitti.

Carlo Mauro si dedica prevalentemente all’azione e all’organizzazione sindacale più che alla pura militanza politica, si pone alla testa delle lotte per l’emancipazione sociale di tutti i lavoratori, in particolare chimici, pellettieri, barbieri, e ferrovieri, tentando invano, attraverso l’alleanza con il repubblicano Vallone, un’integrazione dei nuclei familiari medi e piccolo-borghesi rurali e cittadini, ma la nascita di quell’aggregazione politica che va sotto il nome di fascisti di don Vito (il riferimento è al fratello dell’ingegnere Vallone), provoca il fallimento della politica di Carlo Mauro e l’isolamento di tutta la sinistra galatinese. Nel periodo fascista rappresentò nel Salento l’intransigenza più assoluta contro la dittatura e la sua testimonianza di libertà gli procurò innumerevoli arresti, minacce e vessazioni. Partecipò, quale Consultore Nazionale (Commissione per la Ricostruzione) e Alto Commissario per l’epurazione fascista in Puglia, alla preparazione delle elezioni per l’assemblea costituente. Candidato alle politiche del 2 giugno 1946, morì a Galatina il 12 dello stesso mese, subito dopo la proclamazione di quella Repubblica che aveva sognato sin dai lontani anni del Liceo.


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