"Avere talento è un dono, ma il merito è saperlo utilizzare"Julio Velasco
A meno di una settimana dalla pubblicazione della delibera che ha definito organigramma e funzioni dirigenziali della nascente azienda unica del trasporto su ferro, il processo di “elaborazione del lutto”, da parte degli sconfitti, si va lentamente avviando. Come è ben noto, la sensazione di lutto può accompagnare anche un cambiamento nel proprio ruolo sociale, connesso con la propria posizione professionale. Il senso di vuoto psichico, emotivo e, a volte, anche fisico, determina spesso un profondo stato di confusione tale da far sì che la persona si trovi senza più punti di riferimento. L'elaborazione del lutto prevede fasi diverse, partendo dalla negazione della perdita, passando attraverso uno stato di accettazione in cui la perdita viene ammessa, per arrivare, infine, alla reale separazione e al saluto definitivo. L’evento luttuoso, per alcuni dirigenti privati di ogni reale ruolo, non è solo metaforico. Passare da una condizione di potere forte, seppure contrattato e delegato, ad una posizione di assoluta subalternità, potrebbe determinare non poche conseguenze anche riguardo al funzionamento della nuova EAV. Alcuni potrebbero entrare in uno stato di torpore di tipo depressivo. È dovere del vincitore ricondurre i “perdenti” alla vita attiva. È qui che il vincitore deve dimostrare tutta la sua abilità professionale, corroborata da una non comune sensibilità umana. In sostanza, si potrebbe dire: bisogna saper vincere. Il recupero dei riottosi è indispensabile al buon funzionamento della macchina. Nessun capo assoluto deve abusare con acrimonia del suo potere. I vinti devono essere prontamente recuperati ad un ruolo utile, nell’interesse comune. L’attuale sensazione di isolamento e solitudine deve lasciare il campo ad un rapido reinserimento. Il vincitore ecumenicamente deve reintegrare i defenestrati e i diseredati, facendoli sentire utili – anche se non indispensabili – al raggiungimento dell’obiettivo salvezza.
La vera difficoltà per il vincitore assoluto consiste, ora, nell’evitare di indulgere alla umana tentazione di prendersi rivincite personali che, seppure comprensibili, non sarebbero foriere di un clima collaborativo. La storia ci ha insegnato che usare con durezza la forza finisce per diventare un segnale di debolezza. Il potere sovrano va gestito con fermezza ma con sensibilità, ci si augura che si usi pugno di ferro in guanto di velluto. Il comando assoluto porta inevitabilmente alla solitudine del leader unico: la solitudine dei numeri uno (parafrasando il titolo di un romanzo di successo). Manager e imprenditori sono spesso invidiati e, non di rado, appaiono all’esterno antipatici, a volte per il ruolo che svolgono, altre volte per il modo in cui lo interpretano, vengono inevitabilmente visti come i caporali autoritari di un celebre film di Totò, SIAMO UOMINI O CAPORALI?. È sicuramente un ruolo in cui non mancano gli aspetti gratificanti come soddisfazione, successo, benessere economico e senso di realizzazione; il fatto è che questi elementi spesso fanno dimenticare altri aspetti, spiacevoli, quali il timore di non riuscire che porta, per sua natura, alla solitudine.
Essere il plenipotenziario pressoché assoluto, consegna loro il bastone del comando ma li lascia anche possibili vittime dello spettro della solitudine da “uomo solo al comando”. Tale condizione va gestita con intelligenza per non restare impelagati in interminabili e speciose discussioni con i “perdenti”.
La nuova EAV, non può permettersi il lusso di avere un Leader che debba essere costretto continuamente a sgrovigliarsi nella rete intricatissima delle dinamiche interne all’organizzazione. In questa continua manovra, fatta di compromessi e di ambiguità, il conducator si sentirà fatalmente isolato, diffidente, tanto da cadere nella sindrome da accerchiamento che potrebbe impegnare buona parte delle sue energie psicofisiche, destinandole paranoicamente “a pararsi il culo”. Quello di cui non abbiamo certamente bisogno invece, ora più che mai, è uno stile direzionale basato sulla riservatezza dei programmi, con il manager barricato nella sua torre d’avorio, non disponibile a confrontarsi, sottomesso al dogma “l’informazione è potere”. Il ruolo del Grande Capo richiede capacità di leadership, di comunicazione e di rapporti interpersonali, di delega.
In definitiva, quello di cui non abbiamo assolutamente bisogno è un Capo “lupo solitario” che eserciti il potere attraverso un uso spregiudicato, seppur legittimo, della responsabilità individuale basata sul “qui comando io, se faccio risultati vinco, se non li faccio fallisco” e che si barrichi in un’autonomia solitaria sul modello “gli altri devono aver più bisogno di me di quanto io abbia bisogno degli altri”. Nel punto in cui siamo, insomma,non basta vincere occorre saper convincere.
Ciro Pastore – Il Signore degli Agnellihttp://golf-gentlemenonlyladiesforbidden.blogspot.com/2011/08/la-pubblicita-allanima-del-commercio.html