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LA SOLITUDINE IN UN SOGNO DI PIETRE – Identificazioni invariabili -

Da Met Sambiase @metsambiase

Tramite l’uomo che cammina sulla terra

con occhi fissi alle stelle,

troviamo vie per le regioni remote della terra;

e dell’uomo, umile canna

che cresce a lato delle acque

facciamo un flauto

attraverso il cui cuore cavo

la nostra voce

giunge al mondo avvolto nel silenzio.

Kahlil Gibran

(c) lotte teussink

(c) lotte teussink

I parte -

Le pietre sognano la madre terra?

La Terra è accomodante e femmina da millenni. Dogma e simbolo,  il femminile terra  non subisce (quasi) mai la revisione e reinterpretazione del simbolo.  Ci sono state culture che hanno considerato il sole come elemento femminile e la luna il suo contrario maschile ad esempio, ma la Terra non ha subito così tanta trans-fusione di genere. Il suolo, il terreno, il campo, nomi maschili, fertili anch’essi ma legati al lavoro, un’estensione dell’unità uomo-mondo  (senza però scomodare Husserl ma solo citando una sua definizione), che per la stessa via porterebbe all’identificazione dell’eternità donna-terra. Forse la necessità condizionante della simbologia è legata all’animismo arcaico che credeva veramente che tutto avesse un’anima, creando un legame interiore di similitudine o simbiosi fra la razza umana  e bisognosa di portare ogni fenomeno “vivente” al vaglio del possibile. Scrive Emanuele Severino che: “… Se si separa la Terra dal destino della verità, l’uomo diventa un tecnico e un fedele, nella convinzione che la Terra sia tutto ciò con cui abbiamo a che fare…. la Terra diviene un niente a cui il “mortale” vuole appartenere, ritenendolo la regione sicura”. L’identificazione non è invariabile, ma anche in poesia sembra naturale percepire la forza dell’archetipo Terra al femminile.

IL FALSO MATTINO

(da ” Sob-e dorugbin “)

Nadér Naderpùr

Parigi 1982

Stasera la terra non ha più peccati.

L’ascesi bianca della neve

ha nascosto l’eresia degli uomini.

Questa maschera d’argento

sul nero volto della natura

è la menzogna del mondo.

Questa sera il vecchio albero

pensa di essere ancora giovane,

ma quando sorge il sole

si sciolgono i suoi pensieri di neve.

Quale occhio

potrà vedere il volto della verità

che come il sole si nasconde?

Forse verrà la risposta

da un occhio che conosce il pianto.

traduzione a cura di Gina Labriola

(PARLAVA CON GLI ALBERI QUELLA BAMBINA)

Juana Castro

Parlava con gli alberi quella bambina.

Percorso della scuola, il suo segreto

divideva con olmi e roseti.

Era un filo di luce. Un filamento

arrivato da altri mondi, la memoria

di una linfa sacra. La terra, oscuramente,

nel suo centro riuniva la bellezza

e l’ordine. Misterioso, un incantatore

divideva la sua vita tra gli occhi. Stelle

che nella notte inondavano

di presagi la bocca, profumando.

Insondabile la pioggia, con il suo bacio

di dolcezza rivestiva i percorsi

e le sere di febbre. Rondini

le avvicinavano gerani e ghiande.

Nacque morta, e il latte con il mile

dai batuffoli le colò fino all’incontro

della lingua. E la chiamarono Juana,

“piena di grazia”

(ed anche di pazzia), in ebreo.

Imparò a coltivare la solitudine

in un sogno di pietre. E seppe,

nel profondo,

che era figlia e sorella e madre viva

della gloriosa terra…

PAESAGGIO IN MOVIMENTO

Hilde Domin

Si deve saper andare via

e tuttavia essere come un albero:

come se le radici rimanessero nel terreno,

come se il paesaggio si muovesse e noi restassimo fermi.

Si deve trattenere il fiato,

finché si calma il vento

e l’aria estranea inizia a girarci intorno,

finché il gioco di luci e ombre,

di verde e di blu,

crea gli antichi disegni

e siamo a casa,

ovunque essa sia,

e possiamo sederci e appoggiarci,

come se fossimo alla tomba

di nostra madre.

CANTO DEL BOSCO

Papusza (Bronisława Wajs)

Ah, miei boschi!

In tutta la grande terra

non vi cambierei con nulla –

né con l’oro,

né con le pietre preziose,

le pietre preziose che

brillano così belle

e attirano la gente.

E le mie cime rocciose

le mie pietre sull’acqua     

più care sono dei gioielli

che irradiano la luce.

Nel mio bosco di notte

sotto la luna

i fuochi ardono

e irradiano la luce

come pietre preziose,

che adornano le dita alla gente.

Ah, miei amati boschi,

che profumate di salute!

Che allevaste i giovani Zingari

come propri boschetti!

Il vento agita il cuore come foglia

e non c’è paura di nulla.

I bambini cantano,

sia che abbiano sete o fame,

saltano e ballano, perché

questo il bosco ha insegnato loro.

1952

traduzione a cura di Paolo Statuti

II parte -

Terre d’argilla

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La (micro)analisi sul “genere Terra” ha preso il via da un invito ad una mostra che parte sabato 29 a Cadelbosco (RE) e che durerà per tutto dicembre. Vi allego la sua presentazione.

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“Terre d’argilla” è un tuffo in una identità, in una visione e un contatto col territorio.
La mostra parte dalla fotografia ma attraversa la pittura con le opere di Fabio Rota e Roberta Lodi Rizzini, inoltre si arricchisce delle opere in terra cruda create attraverso un percorso laboratoriale con l’architetto Alessandra Campanini . Nel percorso non può mancare la parola sia attraverso la narrazione delle “Storie di Bassaterra” di Pietro Formentini che nei versi di Claudio Bedocchi (curatore degli eventi) che nelle canzoni del giovane cantautore reggiano Ste Casoli.


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