La solitudine necessaria

Creato il 17 settembre 2012 da Mcnab75

Un altro post di lifestyle blogging, categoria di articoli che vedo affascina tanto voi quanto me.
Che poi eh, le definizioni e le etichette, utili più che altro per mettere ordine tra gli articoli che non per altri motivi particolari. Ma va bene così. Oggi tra l’altro parliamo di una cosa che in pochi sceglierebbero come stile di vita, almeno apparentemente: la solitudine.
Una condizione umana – come la definisce il dizionario – che fa paura e che quasi tutti rifuggono. Infatti i momenti per stare soli con noi stessi sono ridotti al lumicino. Pensateci: fin dalla mattina siamo proiettati in uffici (o aule scolastiche) in cui siamo costretti a interagire con persone che spesso e volentieri mal sopportiamo. La sera ci facciamo coinvolgere in uscite a volte poco desiderate, ma in cui conta esserci per confermare – a se stessi e al prossimo – di avere amici, persone che gradiscono la nostra presenza.
Non dimentichiamoci dei social network: trascorriamo ore a condividere status con persone che non abbiamo mai visto in faccia, pur di non rimanere soli e con cervello concentrato su chissà cosa.
Ma questi rituali anti-solitudine faranno poi bene?

Non lo so. Comunicare è importante – altrimenti che saremmo qui a fare, su questi blog, su Twitter e altrove? Allo stesso tempo credo che ritagliarsi dei momenti da dedicare a noi stessi, senza avere nessuno con cui interagire, sia altrettanto importante. Innanzitutto perché in occasioni di solitudine il cervello lavora con parametri differenti. Si concentra su pensieri e faccende che vengono escluse di default se e quando parliamo con altre persone.
Inoltre, rifletteteci, in molti casi l’interazione col prossimo ci spinge a comportarci in modo da essere accettati. Che questo processo sia conscio o inconscio non cambia la sostanza del discorso. Quando invece siamo soli con noi stessi siamo più predisposti a essere naturali, spontanei, sia nei pregi che nei difetti.
Non solo. Per chi si occupa di lavori creativi ritagliarsi dei momenti di solitudine è necessario per innescare quei meccanismi che generano idee e progetti. Regalare al nostro cervello diverse ore “libere” per poter elaborare dati e suggestioni è importante tanto quanto collaborare con tutti quelli che, in un secondo tempo, completano e perfezionano il nostro lavoro. 

Secondo molti psicologi la solitudine è una condizione necessaria e strettamente correlata all’individualità umana. Rinunciare a essa vuol dire dunque perdere identità. Non a caso gli esempi che ho riportato in precedenza denunciano una progressiva incapacità dell’uomo moderno di metabolizzare la solitudine stessa. La paura dei momenti trascorsi soli con noi stessi denuncia debolezza d’animo e un carattere incline a piegarsi al giudizio altrui. La volontà di sentirsi accettati a ogni costo è – appunto – una perdita d’identità.
Non sbagliava Charles Baudelaire nel dire che chi non sa popolare la propria solitudine, nemmeno sa esser solo in mezzo alla folla affaccendata.

Molti creativi che conosco – scrittori, musicisti, artisti – anelano momenti di solitudine da alternare con quelli di normale vita sociale e/o di coppia. Essi vedono in questa condizione un elemento indispensabile per lavorare, ma anche un’orgogliosa rivendicazione d’indipendenza.
Stare soli non vuol dire diventare eremiti o ambire a una vita fatta di totale isolamento ed esclusione. Certo, ci sono persone che non desiderano altro, ma non è di loro che sto parlando in questo articolo, quanto piuttosto della necessità di imparare di nuovo a stare con nei stessi.


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