La spia (A Most Wanted Man), un film di Anton Cobijn. Tratto dal romanzo Yssa il buono di John Le Carré. Con Philip Seymour Hoffman, Rachel MacAdams, Nina Hoss, Willem Dafoe, Daniel Brühl, Martin Wuttke.
Un uomo lacero si aggira per Amburgo, finché non verrà soccorso da un immigrato turco e da sua madre che, impietositi, lo ospiteranno a casa loro. Scopriremo che Yssa, questo il suo nome, viene dalla Cecenia. Nato dallo stupro di una giovane donna da parte di un alto militare russo durante la repressione-normalizzazione a Grozny e dintorni, e poi cresciuto incapsulato nella cultura e religione materne. Nell’Islam. Perché è in Germania? Sta progettando un’azione terroristica? Un’avvocatessa impegnata sul fronte dei diritti umani si mette in contatto con lui, lo aiuto, per motivi che poi conosceremo, a incontrare un ambiguo banchiere. Intanto Günther Bachmann, responsabile dell’unità antiterrorismo, individua la sua presenza, lo scova, lo mette sotto controllo. Cercherà attraverso di lui di organizzare una rischiosa partita tesa a incastrare un rispettabile e agiato signore di religione islamica sospettato di foraggiare sotto copertura vari gruppi jihadisti in giro per il mondo. Nel complicato gioco si inseriscono una signora degli alti ranghi Cia e un responsabile dei servizi segreti di Berlino. Come nelle migliori spy story, non conosciamo davvero il movente dei vari attori della partita, tutti sono sospettati e sospettabili di doppio e triplo gioco. Chi sta ingannando chi? Chi sta usando chi? E per quali scopi? Unica traccia per noi spettatori è la lealtà di Günther, il suo essere un uomo giusto. Fino all’ultima scena, non così annunciato. Anton Corbijn, il fotografo ormai da qualche tempo passato alla cine-regia (suo il buonissimo e sottovalutato L’americano con George Clooney), gira adeguatamente questa storia piena di ombre e chiariscuri, algida e nebbiosa come la città che le fa da contenitore. Certo La spia non ha la forte impronta stilistica del precedente Le Carré-movie La talpa, ma non ne ha nemmeno i manierismi, è più diretto, meno artificioso e in qualche modo più onesto, più sinceramente interessato al fattore umano, alle vite dei suoi personaggi, ai loro destini. Non un grande film, ma un film non qualunque. Certo, da vedere soprattutto per Philip Seymour Hoffman, ma anche per le riflessioni che induce sull’Islam, sul terrorismo, sulle nostre paure più o meno giustificate. Ancora? Sì, ancora. E Le Carrè non smentisce nemmeno stavolta le sue simpatie per i dannati della terra. Ottimo gruppo di attori. Rachel MacAdams è l’avvocatessa, Willem Dafoe il banchiere dei segreti, Robin Wright, ormai adusa dopo House of Cards a muoversi nel palazzo, è la superagente Cia (però potevano pettinarla meglio, sant’Iddio). E poi Nina Hoss, oggi la vera diva del cinema tedesco (l’abbiamo vista in La scelta di Barbara, la vedremo nel molto atteso Phoenix, trionfatore a Toronto), signora dalla bellezza assai aristocratica e altera. Di quelle donne troppo belle che rischiano di non piacere alle donne, che molte donne amano odiare.
LA SPIA: recensione. L’ultimo Philip Seymour Hoffman è da vedere
Creato il 10 novembre 2014 da LuigilocatelliPossono interessarti anche questi articoli :
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