Si è celebrata oggi l’annuale Giornata delle comunicazioni sociali. La Giornata fu istituita nel lontano 1967 da Papa Paolo VI. Il tema proposto quest’anno da Papa Francesco è “Comunicazione al servizio di un’autentica cultura dell’incontro”. La modalità impiegata dalla Chiesa per comunicarsi al mondo ha sempre sorpreso il mondo. Si tratta di una modalità, appunto, tutta particolare. Innanzitutto perché la Chiesa non si limita a voler comunicare col mondo, ma come indica Papa Francesco vuole piuttosto, in un incontro, comunicare al mondo se stessa, la sua vita.
Su treccani.it, sito internet dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Rita Librandi, linguista e presidente dell’Associazione per la Storia della lingua italiana, in un articolo intitolato Paolo VI, la “spoglia bellezza” del pensiero, si sofferma sul momento del pontificato di Papa Montini in cui ci fu il passaggio, nella celebrazione della messa, alle lingue moderne. Secondo la studiosa, in quella occasione, «grande fu la cura posta dal pontefice al lavoro dei traduttori, cui raccomandò di garantire chiarezza e correttezza attraverso una lingua adatta all’altezza dei contenuti. In un discorso rivolto alle commissioni liturgiche del 7 febbraio 1969 invita a chiedere con “umiltà” anche l’aiuto “di letterati e stilisti, affinché le traduzioni siano documenti di riconosciuta e spoglia bellezza”, tali da sfidare il tempo con “la ricchezza dell’espressione e della lingua”. In questa dichiarazione e nella scelta di termini come umiltà, spoglia bellezza, ricchezza dell’espressione si racchiudono i principi che per secoli hanno regolato la comunicazione della Chiesa e che in particolare hanno caratterizzato le strategie oratorie di papa Montini».
La Librandi ricorda che il discorso di Paolo VI alla commissione liturgica segue di poche settimane un altro discorso altrettanto storico che il Papa aveva tenuto in occasione della sua visita all’Italsieder di Taranto. E dove si testimonia questa ricchezza espressiva della Chiesa. Rivolgendosi agli operai tarantini, il Papa dice: «Vi parliamo col cuore. Vi diremo una cosa semplicissima, ma piena di significato. Ed è questa: Noi facciamo fatica a parlarvi. Noi avvertiamo la difficoltà a farci capire da voi». Chi poteva immaginare di ascoltare da un Papa parole del genere, pronunciate con quella umiltà? “Facciamo fatica a parlarvi”. Ma è proprio da questa difficoltà che scaturisce la straordinaria forza espressiva della Chiesa. «Nec lingua valet dicere, / nec littera exprimere» diceva San Bernardo; non c’è né lingua, né testo scritto che possano esprimere quello che si ha da comunicare. La Chiesa non può comunicare se non l’amore; “Vi parliamo col cuore”, dirà Paolo VI. Non discorsi o ragionamenti; soltanto l’amore del pastore può colmare la distanza. Sarà questa un’idea centrale nel pensiero di questo Papa, sarà quell’idea dell’Amore ineffabile che sarà inserita nel testo del Credo del popolo di Dio. In questo consiste la comunicazione della Chiesa. È nell’umiltà la sua ricchezza espressiva. Quell’umiltà, quell’umiliazione che vedemmo anche nel santo Giovanni Paolo II quella volta, tre giorni prima di morire, quando si affacciò alla finestra ma non riuscì a parlare. Anche quella volta sembrarono riecheggiare le parole di Paolo VI “Noi facciamo fatica a parlarvi” o quelle di san Bernardo “Nec lingua valet dicere”. Eppure, quanta forza espressiva ebbe quel drammatico sforzo a comunicare col mondo. In quelle parole non dette, sta tutta la “spoglia bellezza”, che in fondo è la Croce stessa, della comunicazione della Chiesa.
E questo lo vediamo chiaramente già nel momento iniziale della predicazione di Gesù, quando cioè, per la prima volta, si pose il problema della comunicazione del messaggio cristiano. Gesù era da poco arrivato a Cafarnao, dove sarebbe iniziata la sua vita pubblica, quando un giorno si ritrovò sulla riva del lago di Galilea. Benché fosse arrivato lì da poco, scrive il Vangelo che «la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio» (Luca 5,1). Era tanta la gente che premeva che a un certo punto Gesù non riusciva più a parlare. Anche Lui, in quel momento, avrà pronunciato le stesse parole che saranno di Paolo VI “Noi facciamo fatica a parlarvi”. Fu allora che Gesù notò a riva due barche. Una di queste era di un uomo che poi avrà un ruolo fondamentale nella comunità e che ancora chiamavano Simone. Questi fece salire il Signore sulla sua barca e si scostò un po’ dalla riva. Fu così che Gesù poté tornare a rivolgersi alla folla e a comunicare la parola di Dio.
Da quel giorno la barca di Simon Pietro diventerà immagine stessa della Chiesa. Di una Chiesa che fa propria la tensione del Cristo a comunicare la Parola. La tensione, carica di drammaticità, a comunicare se stesso al mondo. Come a quegli uomini che, dice il Vangelo, nei primi giorni della sua vita pubblica lo cercavano sulle rive del lago di Galilea, finché «lo raggiunsero e tentarono di trattenerlo perché non se ne andasse via» (Luca 4,42).