La spoken word poetry

Da Vivianascarinci

Ma cos’è la spoken word poetry? Esistono esempi che possono fare intendere di che si tratta?

“Figlia non solo dell’antica tradizione orale africana, ma anche della poesia dub giamaicana e afrobritannica, della spoken word e del freestyle nordamericani, del rap, nonché di culture musicali come l’hip hop, il Rhythm&Blues, il jazz, il funk, l’afrobeat, la house e la kwaito”

è un fenomeno che nasce dalla tradizione della poesia orale di certi paesi, ma che poi ha travalicato, come nel caso del Sudafrica, la sua genesi rurale per diventare un genere urbano, sociale, politico. Un fenomeno quindi che si è sviluppato naturalmente in paesi diversi nel momento in cui lo scarto tra vita rurale e vita sociale è risultato evidente a una comunità in cui era ancora possibile un confronto immediato che si esprimesse artisticamente prima che politicamente. La spoken word poetry mantiene la sonorità intimista del racconto individuale pur facendosi parola immediata del sentire espresso nell’ambito di una comunità in ascolto. Viene da sé il gesto danzato di una pronuncia che segna il passaggio dal verbo al contatto con un’esperienza per lo più vera e necessaria. "Le artiste sudafricane -sottolinea d’abdon- hanno accettato la responsabilità e propugnato il diritto che lo status femminile inteso pienamente impone e comporta a un’artista donna. Non hanno barattato la loro indipendenza con una certa forma di popolarità, preferendo l’integrità a un’estetica proposta da un’editoria che in Sudafrica è per lo più espressione del potere politico che non considera il femminile se non come strumento". Alcune  artiste  hanno quindi optato in favore di una libertà creativa che si basi essenzialmente sulla loro poesia, intesa soprattutto nella forma orale e con divulgazioni autoprodotte, facendo sì che essa divenisse, sopratutto nel metodo, un atto politico. Ciò, secondo l’autore, ha finito per fare intendere, meglio che proclamandola, l’origine del loro canto, che in passato e tuttora si propone di essere la forza che evoca l’energia necessaria alla comunità a destare la memoria perduta della propria indipendenza, l’ispirazione per rieditare artisticamente il racconto rinnovato che concerne le proprie origini. Indica inoltre come possibile una forma di lotta politica che si basi anche su una certa qualità del silenzio: scrive Motsei, del go hupa kotana  che letteralmente significa “mettersi un bastoncino in bocca per evitare di parlare”. In un paese in cui l’azione esplicita della protesta ha una presa relativa, è sopratutto l’azione emotiva che  provoca l’ascolto del canto femminile nonché la bellezza che queste poetesse sono in grado di evocare, a sgombrare il campo dall’idea di emancipazione standardizzata che spesso induce a crede l’inermità di alcuni aspetti del femminile, come un’ingiunzione alla prevaricazione piuttosto che latrice del germe vitale custodito nel silenzio di generazioni di donne  presenti a loro stesse. Ma non solo, lo scritto di d’abdon, a mio avviso, apre anche la strada a una riflessione che concerne il gap che potrebbe sussistere tra emancipazione e consenso. Sia dal punto di vista prettamente femminile, per cui accade quasi di riflesso l’adesione a stereotipi anche trasgressivi, anche perbenisti, come ricerca esclusiva di un consenso nell’immaginario che si crede collettivo, sia dal punto di vista strettamente maschile, per cui il consenso fomenterebbe una potenziale visibilità, un individuo apparente che si crede molto più efficace di quello che risiede nelle individualità reali. Recuperare col canto, a volte  non direttamente politico, tratti di non proprio scontata libertà interiore è l’esempio più eloquente che un gruppo di donne africane danno a chi in teoria è reduce da un percorso di emancipazione già compiuto. Ovvero fare poesia “praticando” scelte politicamente decisive, come nel saggio di d’abdon indica un’anziana alla nipote: dopo aver accuratamente scelto per cosa si voglia combattere bisognerà essere in grado di fare a meno di  vincere tutte le battaglie, con ciò insegnando una libertà  che va ben oltre quanto di essa si possa dire a parole. vs  da QUI

Mercoledì 5 ottobre alle ore 17,00
presso la Libreria Libra PoEtica

La spoken word poetry

un movimento di poesia viva
e presentazione del libro

“Bless me father”

di Mario D’Offizi