La stamberga dei lettori recensise “La locanda delle emozioni di carta”

Da Vivianap @vpicchiarelli

“La Locanda dei Libri” è il nome di un agriturismo sul lago Trasimeno, in Umbria, un posto che è diventato negli anni il punto di riferimento per amanti dei libri e per scrittori. Qui, dopo trent’anni, si ritrovano Matilde, ex psicoterapeuta e proprietaria della locanda, e Matteo, avvocato di professione e scrittore per passione. La loro storia si è interrotta bruscamente anni prima e solo grazie alle pagine del romanzo scritto da Matteo, dai risvolti dichiaratamente autobiografici, i due, in qualche modo, si ritrovano ma devono fare i conti con il tempo che è trascorso, con le loro vite attuali e con gli errori commessi in nome dei rispettivi egoismi. Parallelamente, per due individui che cercano di (ri)scoprirsi, altri due, Ginevra e Riccardo, in balia dei propri demoni, faticano a lasciarsi andare, seppur consapevoli della potenza del legame a cui, loro malgrado, non possono sottrarsi. Due storie agli antipodi, un unico, potente e devastante sentimento. Un romanzo dal sapore retrò in cui sono proprio “le emozioni di carta”, lette e scritte, quelle da cui tutto ha origine e a cui tutto torna.

Recensione

Da amante della lettura, non ho saputo resistere al fascino di una locanda popolata da libri, lettori e scrittori, le cui rispettive storie si intrecciano e di scontrano. Ho apprezzato l’italiano impeccabile e la cura redazionale, anche se ho notato un’eccessiva pedanteria nell’uso delle virgole che appesantisce, talvolta, la lettura. Una chicca, le divertenti citazioni letterarie, anche contemporanee, che si incontrano durante la lettura.

Di storie d’amore legate a un romanzo se ne contano a bizzeffe, meno forse sono quelle con protagonisti attempati che, in barba alle convenzioni, decidono di non mettere via i sentimenti e quello che ne deriva. In questo caso, il romanzo che dà il la alla storia è il racconto fortemente autobiografico di un amore profondo ma mai consumato né dichiarato: quello tra un giovane avvocato e la “libraia dai capelli rossi”. Le imposizioni della famiglia, gli obblighi di gratitudine, come anche una certa mancanza di volontà, portano Matteo a sposare una donna che non ama, incinta di un altro, e a dare vita a una famiglia in cui non si riconosce. Solo la figlia naturale riesce a restituirgli la dimensione di intimità e familiarità di cui aveva bisogno – fino al giorno in cui viene pubblicato il romanzo che svela come la loro vita fosse frutto di un inganno.

Matilde, che con l’età non è più rossa, reinventa la propria vita con la fidata amica Emma, aprendo una locanda in riva al lago: qui si incontrano persone diverse, per stato di famiglia, per età e per provenienza, ma tutte sono accomunate dall’amore per i libri. Sarà la locanda ad ospitare quell’incontro tanto sognato e tanto temuto da entrambi, una donna che ormai ha rinunciato all’amore e un uomo che invece osa ancora sperarvi.

Qui si intrecciano anche le vicende di Riccardo, figlio della co-proprietaria della locanda, e Ginevra, figlia di Matteo, entrambi alle prese con i propri demoni. Altre due storie si uniscono al coro, un po’ più in sordina e decisamente meno approfondite.

Di carne al fuoco ce n’è tanta ma, per restare in tema BBQ, l’ho trovata stracotta e un po’ stopposa. Tutto quello che succede viene raccontato, vuoi direttamente dal narratore, vuoi tramite i pensieri dei personaggi: di azione ce n’è poca, in confronto ad tutte le meditazioni ed elucubrazioni che affollano le quasi 400 pagine del romanzo. Capisco la necessità di definire gli antefatti, comunque pesanti e dettagliati all’estremo, ma anche il “qui e ora” subisce la stessa sorte. Dall’inizio fino all’ultima pagina ho avuto la spiacevole sensazione di mancanza di ossigeno e di una persona che mi parlasse in testa, decisamente quello che non chiedo ad un romanzo.

I personaggi sarebbero anche interessanti, ma il modo in cui vengono trattati li rende finti, come se rispondessero a un copione che, facilmente, si intuisce. Matteo ha ben poco dell’avvocato, come anche dello scrittore: l’unico momento in cui giustamente meriterebbe di parlare del mestiere che l’ha reso famoso finisce sopraffatto da chiacchiere che, una dietro l’altra, compongono un saggio, breve quanto non richiesto, sul noir. Matilde è la tipica donna di mezza età, con un matrimonio finito alle spalle e un lavoro che non la soddisfa più: ovviamente ha un’amica del cuore che la convincerà a compiere un salto nel buio che, altrettanto ovviamente, si rivelerà un successo. Emma, la suddetta amica del cuore, non poteva che essere un’insegnante – e forse questo è il carattere meglio riuscito, visto che tutto quello che fa e dice sembra avere il sottotitolo “professoressa”. Peccato che si perda pure lei in mezzo alla confusione di tutto quello che sembra vitale comunicare al lettore, di moventi, sentimenti, storie.

Riccardo e Ginevra non portano niente di nuovo al figlio arrabbiato e disadattato, che trova nell’amore la forza di cambiare rotta. Giulia e Gregorio avrebbero un mondo da raccontare, ma vengono relegati sullo sfondo e finiscono così per perdersi, restando incompiuti.

Se lo spessore del romanzo fosse stato dimezzato e se fosse stato lasciato più spazio al concreto, stralciando le innumerevoli disquisizioni su pensieri, parole, opere e omissioni, sarebbe stato più godibile e meglio sfruttato: così come stanno le cose, è un buon antidoto all’insonnia.

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