La Stazione Centrale: un racconto di mio papà

Creato il 15 giugno 2015 da Marina Viola @marinaviola


Dopo aver letto quello che sta succedendo in Centrale a Milano, mi è venuto in mente di condividere questo racconto scritto nel 1972 ma ancora molto attuale.La Stazione Centrale

A proposito di questa sigla che parla di treni, oggi vi voglio parlare della Stazione Centrale di Milano che è una delle cose più orrende mai concepite e realizzate dall’uomo. Eppure di cose brutte ne esistono. Beh, la Stazione Centrale di Milano ha un suo pregio: quello di essere nettamente più orrenda di tutte le altre stazioni del mondo. Ha una faccia brutta, sporca, lugubre, una faccia che mette tristezza, ma non quelle tristezze di maniera, come quelle dei poeti per esempio che sono sempre tristi per questioni d’ufficio, nel senso che fanno un mestiere che non dà molte soddisfazioni e allora uno che fa il poeta deve per forza essere triste. No, quella della stazione di Milano è una tristezza autentica, tipo quella di chi non sa dove andare a dormire e ha addosso un freddo cane.Non che non sia ospitale come stazione, ma difficilmente uno pensa di andare lì a passare una serata con gli amici o a mangiare una pizza da solo. Con queste arcate enormi dove tutto rimbomba spaventosamente e tu capisci tutto, meno quello che ti interessa. Quello che ha fatto queste arcate pensava forse di garantire un po’ di protezione...in realtà sembra che ti rubino un pezzo di cielo o una boccata d’aria, maledizione!E quelle scale lunghissime, dove la gente si arrampica faticosamente, trascinandosi le valigie pesanti come fossero rimorsi o qualcosa del genere. La gente...ecco, la gente della stazione di Milano. La gente della stazione di Milano è l’unica cosa bella che si trova in quell’immenso portone che si apre sull’Italia, sull’Europa, forse sul mondo. È gente agile, un po’ frenetica, sbattuta qua e là dagli altoparlanti e dai cartelli. Gente che corre dentro questo stanzone buio alla ricerca di qualcosa che sembra irraggiungibile, forse una vita diversa, un’avventura...e invece, molto spesso finisce per perdere qualcosa che ha già e soltanto quando l’ha persa si rende conto che è importante: una valigia, un figlio, un pacco con dentro il formaggio da portare al padrone di casa. E tutta questa gente, quella che ha queste valigie sembra che dalla stazione di Milano ci debba passare per forza, quasi una tappa inevitabile di certe esistenze.Hai l’impressione che ci sia nata in quel posto o che sia costretta a viverci un periodo importante...Certe figure, certi odori, un certo modo di parlare o di camminare ti riportano subito lì, alla Stazione Centrale di Milano, anche se in quel momento sei in un altro posto. C’è un modo particolare di abbracciarsi, di ridere e di piangere.Qualcuno dirà che queste cose avvengono anche in altre stazioni, in tutte le stazioni del mondo, ma io credo che non sia proprio così. Quella di Milano è una stazione particolare, forse perché è grande e grossa che mette paura e chi ci sta dentro sembra tanto piccolo, forse perché è sempre piena di gente o semplicemente perché è la stazione di Milano e basta. Quando arrivi col treno hai l’impressione di essere inghiottito, di mettere te stesso in una trappola gigantesca nella quale sarai costretto a dibatterti con tutte le tue forze per conquistare qualcosa che ancora non sai bene, ma che deve o dovrà essere straordinario.Eppure...eppure quanto il treno ti porta via hai anche tu un momento di malinconia quasi ti sia dimenticato di quegli androni così inutilmente alti un qualcosa che ti sta a cuore e non sai cosa, proprio come quando sei arrivato. E dopo aver corso per tanti giorni guardi indietro e vedi che la vecchia trappola, allontanandosi, diventa sempre più piccola e pensi che lo faccia per non farsi riconoscere o per nascondere la sua bruttezza. La stazione di Milano scompare a poco a poco, ma tu chissà perché te la ricordi per un bel pezzo.


(Beppe Viola, Spazio Libero, 1972)(Foto presa da Repubblica.it)

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