Un buco nero l’ha catturata e la sta divorando
Quando l’Osservatorio spaziale Swift, della NASA, e MAXI (Monitor of All-sky X-ray Image), strumento giapponese a bordo della Stazione Spaziale Internazionale (ISS), registrarono un intenso gamma ray burst (GRB) il 28 marzo scorso, gli scienziati pensarono di trovarsi dinanzi a un evento come molti altri già registrati: una “semplice” esplosione di supernova, il saluto finale di una stella destinato a essere riassorbito nel silenzio cosmico. Invece no: l’emissione di radiazione elettromagnetica non è svanita. E’ ancora attiva nel cielo e, secondo gli astrofisici, testimonia uno degli eventi più violenti che la natura possa concepire. Un primo e un secondo articolo pubblicati su “Nature” del 25 agosto presentano studi dettagliati e indipendenti del fenomeno.
Ma di che cosa si tratta e perché desta tanto clamore fra gli astronomi? Signore e signori, stiamo assistendo in diretta (si fa per dire, dato che la luce impiega quasi 4 miliardi di anni per arrivare fino a noi) alla cattura e alla distruzione di una stella nella costellazione del Drago da parte di un vorace buco nero.
Le fasi della caccia. (Cortesia: NASA/Goddard Space Center/Swift)
Molte galassie, inclusa la nostra, hanno al proprio centro un buco nero supermassiccio. Questi mostri hanno il vizio di catturare irrimediabilmente tutto ciò che passa troppo vicino: particelle, ammassi di polveri, detriti. Perfino intere stelle, come accade in questo caso. Ma come ci riescono?
I buchi neri sono gli oggetti con il campo gravitazionale più intenso in tutto l’universo. Con gradienti tanto forti da stiracchiare e distruggere progressivamente ogni cosa. Quando il buco nero consuma il “fiero pasto”, attorno al sistema buco-stella si forma un disco di accrescimento formato dai detriti che orbitano attorno alla singolarità prima di esserne assorbiti. Dal disco viene emessa radiazione elettromagnetica, come se fosse un faro che brilla in cielo nella banda X. Sono molti, lassù, i buchi neri affamati. I nostri telescopi, in orbita e al suolo, registrano costantemente questo tipo di radiazioni. Eppure è molto raro assistere al pasto di un buco nero dall’inizio.
Gli scienziati che lavorano a Swift e alla sua strumentazione di bordo hanno seguito giorno dopo giorno l’evoluzione del “pasto”. Nel contempo il fenomeno è stato studiato anche dagli astronomi dell’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics di Cambridge, nel Massachusetts. Questo gruppo, a differenza dei colleghi della NASA, si è servito di Osservatori terrestri, come il National Radio Astronomy Observatory’s Expanded Very Large Array (EVLA) presso Socorro, in New Mexico. Non solo: i due team hanno analizzato il fenomeno in intervalli differenti di frequenza. Gli scienziati della NASA nella banda X, quelli di Harvard nelle radiofrequenze.
L'andamento della radiazione X registrata da Swift. Gli avanzi del "pasto", insomma. (Cortesia: INAF)
La registrazione nella banda radio eseguita dal gruppo di Harvard. (Cortesia: NASA)
Più informazione implica più confusione? Non sempre. Anzi, in questo caso un’analisi completa è utilissima, considerata l’eccezionalità dell’evento. Il team di Harvard ha anche scoperto che la regione che emette radiazione si espande con una velocità prossima alla metà della velocità della luce. “Questo fatto è importante”, sostiene Edo Berger, professore della Harvard University. “Ricostruendo l’espansione della regione emittente, avremo la conferma che si tratta proprio dell’evento registrato da Swift nella banda X a fine marzo”.
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