LaStimmungcoperta con John Franklin
sulla scoperta della lentezzaiIAvevo già dieci anni ed ero ancora così lento
che non riuscivo ad afferrare la pallaii,
tenevo la corda dal ramo più basso del gelso
essa arrivava fino alla mia mano tesa verso l’alto
la reggevo saldamente come l’albero
e non abbassavo mai il braccio prima della fine del gioco.
IIA tenere la corda ero bravo come nessun altro
nel Delta del Saraceno.
Dalla finestra del municipio lo scrivano del re
e della repubblica guardava da questa parte.
Probabilmente in tutta l’Italia non c’era nessuno
che sapeva star fermo in piedi un’ora e più
e tenere una corda.
IIIStavo immobile come una statua.
O uno spaventapasseri.
Non riuscivo a seguire il gioco,
quindi non potevo fare l’arbitro.
Non vedevo il momento preciso in cui
la palla toccava terra. Non sapevo se
era proprio la palla che qualcuno stava
afferrandoiii, o se il ragazzo a cui arrivava
la palla la stava prendendo o stava
soltanto tendendo le mani.
IVSe guardavo un pollo, poi l’orologio del campanile,
poi di nuovo il pollo, lo vedevo immobile
e in guardia come prima, ma nel frattempo
il pollo aveva beccato, aveva mosso la testa,
girato il collo, fissato gli occhi altrove,
tutta una finzione.
VIl mio braccio reggeva la corda.
Nello spazio di un quarto d’ora il gregge
dietro l’albergo pascolava un tratto
di terra più lungo di un bue.
La piccola bianca era la capra
che pascolava sempre con le mucche.
Da est giunse volando dolcemente un gabbiano
che si posò su una delle canne in terracotta
del camino dell’albergo.
Dall’altro lato si muove qualcosa
laggiù davanti alla cantina “Bufalara”.
VIGuardai di nuovo il gabbiano.
Oltre la ferrovia c’erano la costa pietrosa
e il mare. Quand’ero sott’acqua riuscivo
a trattenere il respiro a lungo.
Le mucche pascolavano, le capre erano utili
in caso di sventura, gli uccelli si posavano,
le lapidi assorbivano tutto il sole, le nuvole
danzavano ovunque c’era pace.
I polli, non potevamo mangiarceli.
VIITenevo la corda come prima
e guardavo sgomento un altro ragazzo.
Questi stava dicendo parecchie frasi
così in fretta che non si capiva una sola parola.
Forse dovevo lasciare andare la corda, che stupido,
gridavano gli altri.
Quindi la palla pesante mi colpì l’incavo del ginocchio
e caddi a terra come una scala posta troppo in verticale,
prima lentamente e poi con forza.
Dal fianco e dal gomito il dolore cominciò a diffondersi.
VIIIMi rimisi in piedi, sempre tenendo la corda
con la mano tesa, deciso a non cambiar posizione.
Forse si sarebbe ricreata la situazione di prima,
e che cosa sarebbe successo allora, se avessi lasciato
cadere la cordaiv? “Dagli uno scrollone, così ti svegli!”
“Dai, non fare niente, non stare a guardare a bocca aperta!”
Tenevo gli occhi ben aperti per poter afferrare tutto
con lo sguardo perché l’altro cambiava posto di continuo.
IX“Quando ti deciderai a lasciare la corda?”
mi gridò una bambina.
Avevo ancora l’impressione di vedere tutto questov,
qualcuno da dietro mi tirò per i capelli.
Come aveva fatto la bambina ad arrivare là?
Ancora una volta mancava un lasso di tempo.
Mi rigirai, incespicai e a un tratto mi ritrovai
a terra con la bambina perché lei aveva la gamba
ingarbugliata nella corda che io continuavo a tenere
saldamente.
Ernesto Timor 2007
XA un certo punto la bambina mi mise proprio il viso
davanti con aria beffarda, ma la mia mano
restò ferma in aria come paralizzata quasi
fosse il monumento a uno schiaffo.
“Sanguini proprio!”
“Vai a casa, Enzu’!”
Continuai a camminare dietro alla bambina
cercando di afferrarla, ma senza convinzionevi.
XILa bambina si limitò ad allontanarsi, regalmente
e senza fretta, seguita da me finché la corda
lo permettevavii.
Poi si allontanarono anche gli altri.
Qualcuno in tono consolatorio disse:
“La bambina ha avuto paura”.
XIIAmavo la calma, ma era necessario
anche saper fare le cose in fretta.
Quando non ci riuscivo, tutto mi si
rivoltava contro. Dunque dovevo
riguadagnare terreno.
Dovevo studiare per apprendere
la sveltezza, un giorno sarei stato
più svelto di tutti quelli che ora mi superavano.
Vorrei essere velocissimo, pensai,
vorrei essere come il sole che solo
in apparenza si sposta lentamente nel cielo.
“Veloce come il sole!” dissi ad alta voce
e mi lasciai ricadere sui cusciniviii.