La Storia del Carnevale Di Venezia

Creato il 20 febbraio 2012 da Ghezzo Claudio @GhezzoClaudio

Il più antico documento riguardante l’utilizzo delle maschere a Venezia è datato 2 maggio 1268: in questo documento veniva proibito agli uomini in maschera di praticare il gioco delle “ova”. Dai primi del ’300 cominciarono ad essere promulgate nuove leggi che mettevano dei “paletti” all’inarrestabile decadimento morale dei Veneziani del tempo.

La legificazione limitativa del Carnevale inizia con un decreto del 22 febbraio 1339 che proibisce alle maschere di girare di notte per la città. Un decreto che può far capire quanto libertini erano i Veneziani del tempo è quello del 24 gennaio 1458: questo proibisce agli uomini di introdursi, mascherati da donne, nei monasteri per compiervi multas inhonestates. Sempre nello stesso “settore”, è interessante il decreto del 3 febbraio 1603, atto a ripristinare la moralità nei conventi: vengono proibite quindi le maschere nei parlatori delle monache, in quanto era usanza andare ai parlatori delle monache, sedercisi sopra e parlare con le monache…

Più volte sono stati promulgati decreti per impedire alle maschere di portare con sè armi o strumenti atti a ferire, così come vengono promulgati decreti al fine di impedire alle maschere di entrare nelle chiese, ed estendono lo stesso obbligo a tutti i cittadini che si introducono nelle sacrestie con abiti indecenti.

Un anno importante è il 1608, e precisamente nella data del 13 agosto, nel quale viene emanato un Decreto del Consiglio dei Dieci, dal quale risulta che ormai la maschera è usata per molti periodi dell’anno, tanto da creare seri problemi alla Repubbica.

Per evitare le pessime conseguenze di questo malcostume, viene fatto obbligo a qualsiasi cittadino, nobile o forestiero, di non usare la maschera se non nei giorni del Carnevale e nei banchetti ufficiali. Le pene inflitte, in caso di trasgressione del decreto, sono pesanti: per gli uomini la pena era di 2 anni in carcere, di servire per 18 mesi la Repubblica vogando legato ai piedi in una Galera, nonché di pagare 500 lire alla cassa del Consiglio dei Dieci. Per quanto riguarda le donne meritrici che venivano trovate in maschera, queste venivano frustate da S. Marco a Rialto, poste in berlina tra le due colonne in Piazza S. Marco e venivano bandite per quattro anni dal territorio della Repubblica Veneta: oltre a ciò dovevano pagare 500 lire alla cassa del  Consiglio dei Dieci .

Dopo cinquant’anni dal decreto del 1608, il 15 gennaio viene pubblicato un proclama del Consiglio dei Dieci, dove si ribadiva il divieto alle maschere di portare armi e veniva altresì proibito di andare mascherati all’interno di luoghi sacri e veniva espressamente proibito di mascherarsi con abiti religiosi. In quello stesso decreto veniva proibito l’uso dei tamburi prima di mezzogiorno ed anche venivano proibiti i balletti di qualsiasi tipo, al di fuori del periodo di Carnevale.

Vista l’usanza di molti nobili Veneziani che andavano a giocare d’azzardo mascherati per non essere riconosciuti dai creditori, nel 1703 vengono proibite per tutto l’anno le maschere nelle case da gioco.

Con due differenti decreti (negli anni 1699 e 1718) viene proibito l’utilizzo della maschera durante la Quaresima e durante le festività religiose che capitavano durante i giorni del Carnevale.

Nel 1776, una nuova legge, atta a proteggere l’ormai dimenticato “onore di famiglia”, proibiva alle donne di recarsi a teatro senza maschera, con la bauta, tabarro e volto.

Dopo la caduta della Repubblica, il Governo Austriaco non concedette più l’uso delle maschere, se non per feste private o per quelle elitarie (es.: la Cavalchina della Fenice). Il governo italico si dimostra più aperto ma questa volta sono i Veneziani ad essere diffidenti: ormai Venezia non era più la città del Carnevale ma solo una piccola provincia dell’Impero, quindi senza più libertà. Durante il secondo governo austriaco fu permesso di nuovo di utilizzare le maschere durante il Carnevale.


Potrebbero interessarti anche :

Possono interessarti anche questi articoli :