La storia del coccio di Mogoro secondo Marco Minoja

Creato il 24 gennaio 2011 da Zfrantziscu

Immagine del frammento di Mogoro che la
Soprintendenza non si ritrova più. Ma assicura
che lo sta ricercando

Del frammento proveniente da Villanovafranca o Senorbi gli uffici competenti dispongono della fotocopia di una fotografia. Sono in corso ricerche in proposito”
È quanto ha risposto il sottosegretario Giro alla questione posta al suo ministro, Bondi, dalla senatrice Luciana Sbarbati (“nel sito di Villanovafranca (o a Senorbi), circa trent'anni fa, fu ritrovato un coccio probabilmente risalente al XV-XIV secolo avanti Cristo, che presenta iscrizioni cuneiformi, individuate come tali da un assiriologo della fama del professor Giovanni Pettinato”) e a quella analoga sollevata dal senatore Piergiorgio Massida. Come si può facilmente immaginare, per rispondere a questioni tanto specifiche, un governante deve servirsi di informazioni ricevute da uno o più esperti di propria fiducia. E chi più del soprintendente archeologico per le Province di Cagliari e Oristano, il dottor Minoja, avrebbe potuto aiutare il Ministero a rispondere? In effetti così è stato e le 22 parole impiegate dal sottosegretario altro non sono che un imbarazzato riassunto di un lungo documento firmato dal Dottor Marco Minoja in cui non si limita a dare informazioni sul frammento proveniente da Villanovafranca o Senorbì (in realtà, scopriremo, da Mogoro). Si abbandona a considerazioni sui cattivoni che non perdono occasione per diffamare le due Soprintendenze archeologiche della Sardegna pur di sostenere l'esistenza di una scrittura nuragica che tutti sanno non esiste.Com'è dunque andata la questione del frammento, secondo Minoja? Fino all'estate 2010, data delle due interrogazioni, la Soprintendenza di Cagliari non aveva alcun documento o notizia relativi al coccio. È stato il racconto dell'anziano prof. Antonio Maria Costa, da tempo in pensione e malato, già ispettore onorario e già curatore del Museo Civico di Senorbì ad illuminare i funzionari della Soprintendenza. Egli fornì ad essi anche una fotocopia di una fotografia in bianco e nero del reperto. L'anziano professore in pensione e malato raccontò che intorno al 1980-1982 “sarebbe stato” incaricato verbalmente dal soprintendente Ferruccio Barrecca, scomparso nel 1986, di effettuare un sopralluogo nell'area archeologica di Puistèris (Comune di Mògoro - OR), dove erano in corso lavori lungo la 131. Nelle vicinanze della casa cantoniera dell'Anas, alle pendici della collina di Puisteris furono trovati dei reperti poi trasferiti nel Museo civico di Senorbì. Nel 1995, in quel museo da poco inaugurato si tenne un convegno sul tema "I gioielli antichi della Sardegna. Origini, produzione e tradizione", organizzato proprio dal prof. Costa; in quell'occasione egli “avrebbe” mostrato una fotografia del reperto al prof. Giovanni Pettinato, allora docente di Assiriologia all'Università di Roma e intervenuto al convegno come studioso di orientalistica, che “avrebbe” espresso grande interesse per questo reperto, sul quale comparivano alcuni elementi impressi di forma triangolare, tali da suscitare l'idea di segni di scrittura cuneiforme. Il soprintendente Barrecca è defunto, il prof Costa è vecchio e malato, negli uffici della Soprintendenza non c'è traccia del reperto, nel Museo di Senorbì – come la Soprintendenza ha “appurato” con una telefonata – non esistono reperti provenienti da Puisteris (ma invece dalla vicina Serra de sa Furca); l'unica sarebbe stata chiedere al professor Giovanni Pettinato. Ma, disdetta, non è stato possibile attivare un contatto diretto col professore, oggi collocato a riposo. Peccato, perché il dottor Minoja confida che sarebbe stato importante acquisire il racconto di prima mano, soprattutto in merito al suo giudizio sui segni nel reperto. Il tentativo di rintracciare l'assiriologo risale al luglio dello scorso anno, la risposta del sottosegretario è del 20 gennaio di quest'anno: non è dato sapere se la “latitanza” del prof Pettinato (che nel frattempo è stato anche in Sardegna) sia durata sei mesi o se nel frattempo sia stato possibile “attivare un contatto diretto”. Ma niente di importante, comunque. Quel frammento – assicura il soprintendente – è pertinente senza ombra di dubbio alla facies culturale della Sardegna preistorica detta di Ozieri. Di almeno duemila anni più vecchia di quanto Pettinato ha immaginato. Certo, un esame del coccio con i moderni metodi della termoluminescenza potrebbe trasformare in un più onesto “ad occhio” il “senza ombra di dubbio” o persino creare certezze che la facies cultura di Ozieri non c'entra. Ma il coccio non c'è più e non resta che fidare nelle parole del Ministero: “Sono in corso ricerche in proposito”.

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