La storia della fontana delle Najadi a Roma

Creato il 01 ottobre 2014 da Appuntiitaliani
Pubblicato il ottobre 1, 2014 da: Redazione

Una vecchia cartolina illustrata, quasi centenaria, riemerge tra le immagini collezionate da un appassionato di Roma e delle sue fontane; qualche battuta scambiata al telefono tra il collezionista ed una redattrice di storia e di costume… e nasce così l’idea di raccontare a quattro mani (si fa per dire: per scrivere ne basta una per ciascuno) la storia controversa di una fontana famosa.

Sembra una boutade, una trama da commedia degli equivoci, ma è una storia vera: un po’ documentata dai cronisti dell’epoca e un po’ affidata ai ricordi personali, confortati però dalle immagini raccolte negli anni.

L’inaugurazione di questa fontana, avvenuta a Roma il 10 settembre 1870, fu l’ultimo atto pubblico ufficiale di un “Papa Re”, dieci giorni prima che la breccia di Porta Pia decretasse la fine dello Stato Pontificio e Sua Santità Pio IX si ritirasse sdegnosamente nella cittadella Leonina del Vaticano; e già questo basterebbe per consegnare questa fontana alla Storia!

Ma per la “mostra” dell’Acqua Pia, Antica Marcia, che tutti oggi conosciamo come fontana delle Najadi, è solo l’inizio di una vita movimentata – di spostamenti, rifacimenti, polemiche, restauri – che arriva fin quasi ai nostri giorni. E’ stata anche l’ultima mostra d’acquedotto romano – la fontana monumentale che celebra l’arrivo dell’acquedotto in città – fatta costruire da un Papa, secondo una tradizione dell’antica Roma ripresa nel Rinascimento alla fine del ‘500 da Sisto V, Felice Peretti, con la Mostra dell’Acqua Felice (il Mosè della vicina piazza S. Bernardo).

Nella Roma italiana, se si eccettua il rifacimento appunto della “nostra” fontana, l’unica nuova mostra è quella del Peschiera in Piazzale degli Eroi: una fontana del 1950 dall’architettura piuttosto scarna, il cui unico pregio è costituito dai giochi d’acqua. Molto simile a quest’ultima, ma ancora più semplice – una vasca a livello del terreno contornata da una scogliera rustica, con una corona di alti zampilli dall’esterno all’interno e con un grosso getto d’acqua centrale – era la primitiva Mostra dell’Acqua Marcia, come si vede dalla foto che la ritrae forse il giorno stesso dell’inaugurazione (foto in testa all’articolo). Si trovava poco distante dalla posizione attuale, più spostata verso la piazza dei Cinquecento, nel giardinetto tra viale Einaudi e via delle Terme di Diocleziano, pressappoco dove è ora il monumento agli Eroi di Dogali.

La seconda immagine (fig. 2) la ritrae qualche anno dopo da un’altra angolazione e già con qualche difetto di funzionamento; intorno al 1885 è ridotta ad una vasca dall’aria dimessa con un modesto zampillo centrale, come testimonia la terza foto (fig. 3).

Dal disfacimento alla resurrezione: il nuovo piano Regolatore, varato in quegli anni, prevede la creazione di piazza dell’Esedra in testa a via Nazionale, l’odierna piazza della Repubblica, e si decide di ricostruire al centro di questa piazza la mostra dell’Acqua Marcia.

Nel 1888 la nuova fontana, su progetto dell’Ing. Alessandro Guerrieri, era già funzionante: l’architettura era quella attuale che ripete al centro, su un livello rialzato, il motivo acquatico della vecchia mostra (corona di zampilli e getto centrale) ma con una vasca circolare esterna molto più grande, la quale racchiude ancora quattro semivasche poste a crociera intorno al blocco centrale e adornate di quattro leoni che gettano acqua dalla bocca, similmente ai quattro leoni del Valadier in piazza del Popolo.

Il motivo ornamentale dei leoni parve poca cosa in confronto alla mole del manufatto, ma i quattro felini furono approntati in tutta fretta, modellati “provvisoriamente” in stucco verniciato per la visita a Roma dell’Imperatore di Prussia Guglielmo II. Quel provvisorio durò tredici anni! La quarta foto (fig. 4) è testimone di questa sistemazione, già con la cancellata che sarà sacrificata un cinquantennio dopo, insieme con quasi tutte le cancellate pubbliche, per il “ferro alla patria”.

Nel frattempo il già famoso scultore siciliano Mario Rutelli si aggiudica nel 1897 la gara per la nuova ornamentazione della fontana: quattro Najadi, le ninfe dell’Oceano, dei Fiumi, dei Laghi e delle Acque sotterranee, ognuna sopra un animale simboleggiante il proprio ambiente, avrebbero sostituito gli anonimi leoni. E qui comincia il bello. Rutelli modella e realizza le fusioni dei quattro gruppi in bronzo a Palermo ma quando, a gennaio del 1901, li trasporta a Roma e inizia a montarli sui basamenti della fontana, nascosta agli occhi indiscreti da una palizzata di legno, qualcuno vede e si stupisce di fronte a tanto procaci nudità femminili e riferisce lo “scandalo” in consiglio comunale.

Cominciano le solite dispute tra conservatori e progressisti, tra cattolici e liberali; qualcuno afferma addirittura di essersi pentito di aver approvato a suo tempo il progetto delle najadi, vuole di nuovo i leoni e relegare le quattro femmine, lascivamente adagiate su divani in forma di animali o mostri, attentatrici alla morale della famiglia, in un angolo riposto di Villa Borghese (sic!). Fortuna vuole che a decidere sia il popolo. La sera del 10 febbraio 1901, un giovedì grasso, una folla di curiosi, stufi delle polemiche e della palizzata ormai inutile, comincia a divellere qualche asse: in poco tempo lo steccato è completamente abbattuto e viene così informalmente inaugurata la nuova “Fontana delle Najadi”.

Come argutamente esprime Sergio Delli nel suo “Le fontane di Roma”: “…Non si ha notizia di fughe di giovanissimi da casa per sposare una naiade rutelliana, né di abbandoni di spose o fidanzate, né tantomeno di suicidi dal Pincio per amore di qualche naiade bronzea…”. Le polemiche continuarono a lungo, eppure nei disegni pubblicitari del tempo (siamo in epoca liberty) non mancavano paffutelle donnine nude, anche se, a parziale discolpa di tanti animosi oppositori, Cesare D’Onofrio, nel suo prestigioso volume, “Le Fontane di Roma”, ricorda che quelli erano anni “in cui le spiagge balneari erano popolate di donne, sì, ma in costume da guerriero carolingio e accompagnate da uomini che nel loro sembravano galeotti…”.

Vinse comunque la bellezza dell’opera d’arte e le najadi rimasero al loro posto; anzi dopo qualche anno gli stessi detrattori riconoscevano la validità di quelle statue che avevano decorato degnamente una fontana la quale costituiva un magnifico biglietto da visita per la città, anche in ragione del fatto che è stata la prima fontana di Roma ad essere dotata di illuminazione elettrica interna, addirittura prima ancora della fine dell’800.

La quinta foto (fig. 5) è la cartolina centenaria che ci mostra la fontana ai primi del ‘900 con le ninfe, la cancellata e al centro un semplice zampillo. Ma nel 1911 c’è l’Esposizione Universale per il cinquantenario dell’Unità d’Italia e Rutelli, ormai riabilitato ed elogiato, riceve l’incarico di modellare una scultura per adornare il centro della fontana. Non sappiamo se inibito dal ricordo dello scandalo o per vendicativa ripicca, lo scultore realizza un gruppo “casto” ma infelice ed anche poco comprensibile: un groviglio di tre figure umane (forse tritoni), conchiglie, polipi, stelle marine. Lo vediamo nelle due foto (figg. 6 e 7) che lo ritraggono al centro della fontana: in quel breve periodo qualcuno aveva aggiunto alcune piante per guarnire ulteriormente l’architettura.

Il popolo romano, che stupido non era e aveva saputo apprezzare subito la bellezza delle najadi, non gradì questa caduta di stile e dette subito al gruppo il soprannome di “fritto misto”. Fu necessario rimuoverlo – per la cronaca, fu relegato nei giardini di piazza Vittorio, a dare acqua, con un modesto zampillo, al laghetto che si trovava lì fino all’inizio dei lavori per la Metro A – e al Rutelli fu commissionato qualcosa di “più serio”.

Nel 1914 la fontana fu completata definitivamente col nuovo gruppo del Glauco che lotta con un enorme pesce. Simbolo dell’uomo che riesce a domare le forze della natura, ha detto qualcuno: sicuramente, ma non è da escludere anche stavolta un pizzico di malizia vendicativa da parte dello scultore, sempre per le polemiche di dieci anni prima. Una leggera malizia che fu colta non dai critici d’arte ma dal Sor Capanna, il cantastorie popolare (vox populi…), in un suo stornello vagamente osé.

E’ invece curioso notare che quelli coloro i quali una decina di anni prima avevano definito la fontana “un orrore e una colpa” e chiedevano di “togliere quella sconcezza” ebbero invece a dire: “Questo gruppo è perfettamente intonato con le statue intorno delle najadi ed è completamente degno di quell’opera” – così almeno riporta Cesare d’Onofrio nel libro già citato.

L’opera era completa e poteva far bella mostra di sé agli occhi del viaggiatore che giungeva nella capitale non appena usciva dalla stazione ferroviaria: allora il treno era il mezzo principale con cui arrivavano in città anche i personaggi importanti ed inoltre la vecchia stazione Termini aveva la facciata molto più avanzata rispetto all’attuale, così la fontana delle Najadi era veramente il biglietto da visita della città. Lo si può vedere dalle foto che ritraggono la fontana prima degli anni ’40 e poi negli anni ’50, con la vecchia e la nuova stazione sullo sfondo (figg. 8 e 9).

E’ il momento di massimo splendore della fontana, con tutti i getti perfettamente funzionanti e con quello centrale altissimo, un fiocco potente e spumeggiante: soprattutto di notte, con l’illuminazione interna, il tutto appariva particolarmente suggestivo, come risulta dalla cartolina d’epoca che la ritrae in notturno (fig. 10).

Ma le vicissitudini non erano del tutto finite. Poco più di 50 anni dopo, nel 1970 – guarda caso proprio nel centenario della primitiva mostra dell’Acqua Marcia – la fontana viene disattivata per l’apertura del cantiere della metropolitana, linea A. Per più di dieci lunghi anni la fontana rimane secca, muta, ai margini di una piazza sventrata dai lavori interminabili della metro, che proprio lì sotto passa ed ha una stazione molto in profondità.
All’inizio degli anni ’80 la metro A entra in funzione, la fontana deve invece aspettare ancora qualche anno per riprendere vita. Dopo un primo restauro, alla prova dell’acqua il grande bacino esterno sembra leggermente inclinato; inoltre la trasformazione dell’alimentazione, con acqua completamente a circuito chiuso e forse trattata con decalcificanti per evitare le incrostazioni, provoca problemi di alghe sulle statue forse più antiestetici degli stessi depositi calcarei.
Si rendono necessari nuovi restauri. Negli anni novanta riprende a funzionare però i getti che scavalcano le najadi sono diventati sottili spruzzi ed anche lo zampillo centrale non è più lo stesso.
Il colpo di grazia arriva ad opera di un automobilista distratto che nel settembre del 2003 sbanda con la sua auto e si schianta contro il bordo della fontana (anche l’ingiuria del traffico!). L’urto sposta quattro blocchi di granito aprendo una vistosa falla sul fondo della fontana, restaurata appena due anni addietro, dalla quale fuoriesce acqua copiosa. Il monumento verrà nuovamente svuotato dell’acqua e chiuso per i lavori di restauro. Tornata in funzione dopo poco tempo, tutt’ora è lì con la corona di zampilli centrali un po’ irregolari e sconnessi, con i sottili spruzzi che scavalcano le sempre belle e indolenti najadi e con il getto centrale tornato bifido ed ancora più basso di prima degli anni ’30, quando le nuove pompe elettriche avevano consentito di aumentarne la portata e l’altezza.
Del resto il Glauco sta lì da 90 anni… “so’ i problemi dell’età…”: siamo sicuri che, se fosse ancora vivo, direbbe così quello spiritaccio del Sor Capanna.

Donatella Moraggi e Giancarlo Tammaro

Bibliografia:
– L. Callari “Le fontane di Roma” – Apollon -1945 – C. D’Onofrio “Le fontane di Roma” – Staderini -1962 – S. Delli “Le fontane di Roma”- Schwartz & Meyer -1972 – B. Brizzi “Le fontane di Roma” – Editori Romani Associati -1980 – S. Negro “Nuovo Album Romano” – Neri Pozza -1964 – G. Panimolle “Gli Acquedotti di Roma antica” – Abete – 1968 – Autori Vari “Il trionfo dell’acqua – Acque e Acquedotti a Roma ” – Paleani – 1986 – Angeleri – Mariotti Bianchi “I cento anni della vecchia Termini” – B. N. C. 1974 – Autori Vari “Le strade di Roma”- Newton Compton – 1989 – M. Dell’Arco “Roma dei galantuomini” – E. I. A. S. – 1962 – G. d’Arrigo “Cento anni di Roma Capitale” – Spinosi – 1970


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