di Michele Diodati
Alla fine degli Anni Sessanta del secolo scorso, i progressi tecnologici compiuti nell’esplorazione del cielo nelle frequenze dell’infrarosso consentirono di bucare per la prima volta in modo efficace la nera cortina di polveri che rende invisibile il centro galattico ai telescopi ottici. Nel 1968 Eric E. Becklin e Gerald Neugebauer, due astronomi del Caltech, riuscirono a scandagliare i parsec centrali della Via Lattea in quattro diverse lunghezze d’onda dell’infrarosso, ottenendo i risultati migliori a 2,2 micrometri. Superando 25 magnitudini di oscuramento dovuto alle polveri nei bracci a spirale interposti, scoprirono sciami di stelle addossate l’una all’altra con una densità inverosimile, a paragone delle enormi distanze che, nella periferia galattica, separano il Sole dalle sue vicine. Un articolo pubblicato su Le Scienze nel 1974 (R.H. Sanders e G.T. Wrixon, “Il centro della Galassia”) riassumeva in modo suggestivo ciò che Becklin e Neugebauer avevano osservato:
Le misure infrarosse indicano che il nucleo galattico contiene circa un milione di stelle per parsec cubo, una densità stellare circa un milione di volte superiore a quella dei dintorni del Sole. Ciò implica che un essere vivente su un pianeta orbitante intorno a una stella del nucleo galattico vedrebbe un milione di stelle brillanti come Sirio, la stella più brillante del nostro cielo. L’intensità integrata di tutte le stelle del cielo notturno di un tale pianeta sarebbe pari a circa 200 Lune Piene. In queste condizioni gli astronomi ottici si dovrebbero limitare allo studio degli oggetti vicini più brillanti; sarebbe offuscata persino la luce delle galassie più brillanti. (È però dubbio che possa esistere una qualche forma di vita su pianeti del nucleo galattico, dato che con densità stellari tanto alte i passaggi ravvicinati tra le stelle sarebbero così frequenti che i pianeti verrebbero strappati dalle loro orbite ogni poche centinaia di milioni di anni.)
Continua… (Memoria dello Spazio)