La storia di Ernest.

Creato il 01 marzo 2013 da Enricobo2

La maggior parte di coloro che decidono di visitare la Tanzania lo fa principalmente con uno scopo e lo avrete ben capito da quanto ho già diffusamente raccontato in questo periodo, quello di osservare gli animali selvatici africani nel loro specifico ambiente. Più ne vedi e più sei contento, maggiore è la varietà, le situazioni di vita selvatica che potrai osservare e maggiore sarà la soddisfazione che giustificherà l'esborso non proprio leggero che è stato necessario. Per arrivare a questo risultato c'è una condizione dirimente dalla quale non si può fare a meno. Quella di avere una buona, anzi un'ottima guida. Una persona che non solo conosca perfettamente strade, modi per muoversi e luoghi, ma che abbia anche la capacità e l'esperienza per avvicinare gli animali, saperne perfettamente le abitudini, dove e quando trovarli e come comportarsi in loro presenza, in modo da offrire le migliori condizioni per godere completamente di questa esperienza. Io non posso essere sicuro di averne avuto a disposizione una delle migliori, ma di certo me ne sono venuto a casa con questa convinzione.  Ernest è grande, grosso e nero come tutti i Tanzaniani che provengono dalle aree sud occidentali del paese al confine col Congo. Non è più un ragazzo, anche se è difficile valutarne l'età. Ha vissuto la sua giovinezza nella periferia di Dar ai tempi della conquista dell'indipendenza, parla un ottimo inglese e senti che ha un certo grado di istruzione. Si era messo a fare il meccanico, ma fin da giovane doveva essere un sognatore; le baracche di una megalopoli africana polverosa e sovrappopolata, gli stavano troppo strette, si sentiva mancare l'aria, sognava e aveva bisogno di spazi aperti, di libertà di pensiero, di sentire su di sé il grande cielo africano. 
Una trentina di anni fa cominciò a fare la guida per quei primi turisti che arrivavano qui, spinti dai racconti hemingwayani, dalle storie di caccia, dal desiderio di vedere quella vita selvatica che oramai scompariva nelle altre parti del mondo sviluppato e a poco a poco questa è diventata la sua vita. Quei pochi giorni che passa ad Arusha o a Dar, quando deve andare a prendere in carico il suo gruppetto di wazungu che arrivano spaesati da tutte le parti del mondo, lo infastidiscono un poco, sembra che non desideri altro che lasciarsi alle spalle le strade asfaltate del centro, piene di gente e di negozi e cercare la pista giusta che porta alle sue terre dove puoi misurarti con gli alberi, le acque, la foresta, la savana e dove si sente davvero a casa. Quando lo incontri, noti subito il lungo coltellaccio che gli pende al fianco sui pantaloncini caki e il cappello dalla larga tesa, calcato sul cranio rasato e che non molla mai. Ha i modi gentili e riservati di chi ha una lunga esperienza in questo tipo di lavoro in cui incontri gente di tutti i tipi, arroganti e pretenziosi a volte, oppure altre, timidi e desiderosi di capire, in ogni caso sempre complicati da gestire, con le loro esigenze di uomini che arrivano da mondi diversi, tecnologici, organizzati, delicati. Parla a voce bassa Ernest, quando cerca di inquadrarti per capire se sarà un viaggio facile o complicato, al di là degli inconvenienti che possono sempre capitare. Solo la sua risata è larga e sincera, ti coinvolge e ti lascia capire il suo essere un uomo chiaro, che fa con soddisfazione il suo lavoro, disposto a metter a disposizione quanto può per renderti piacevole il tempo che trascorrerai con lui. Certo la sua esperienza è grande e puoi stare tranquillo che ti farà vedere tutto quello che le circostanze renderanno disponibile, vedrai ogni luogo previsto, nei tempi migliori, secondo i tuoi desideri. 
E' fonte inesauribile di tutto quanto vuoi sapere sulle abitudini degli animali che vedi, sui luoghi che attraversi, sulla gente che incontri e racconta le sue storie con il tono di chi è innamorato di quello che fa, della sua terra e della natura che ne è la vera ricchezza, il patrimonio insostituibile. Per questo si rabbuia subito quando deve farti osservare problemi che la naturale avidità umana o il mal gestito senso di progresso, procurano in una terra sotto questi aspetti giovane e fragile. Senti un senso di dolore quando ti racconta dell'insensato progetto di una nuova strada che tagli in due il parco del Serengeti per collegare più rapidamente Kenya e Tanzania; contrarietà quando si parla di uscite notturne nei parchi che in ogni caso disturbano gli animali. Avverti invece soddisfazione quando ti può mostrare realizzazioni rispettose di uno sviluppo che tenga conto di non disperdere o rovinare la vera ricchezza del paese. Quando si ferma a guardare un branco di elefanti, le giraffe che ti guardano passare curiose, le groppe degli ippopotami che emergono dagli stagni, vedi la sua soddisfazione palpabile per la bellezza che ti circonda. Di certo l'ha vista mille volte eppure riesce a comunicarti la sua contentezza per quanto ti può mostrare. Lo vedi guidare assorto, invece, se osservi con attenzione, il suo sguardo fruga nel folto, gira continuamente attorno per scovare due occhi lucidi tra i cespugli,  qualche orma rivelatrice nella polvere, una coda che pende tra i rami su cui riposa, nascosto, un leopardo. Una vita trascorsa così, a vivere nell'osservazione della natura, a scorrazzare per tutto l'East Africa, dal Kenya, al Ruanda, dall'Uganda allo Zambia, dove non c'è parco o area protetta che non conosca, di cui non abbia visto i punti più segreti ed interessanti. Certo una vita di questo genere, passata tra lodge e tende perdute nella savana, sempre a guardare il cielo e l'orizzonte lontano, comporta anche delle rinunce, anche se poi conosci tutti e in ogni punto dove arrivi, trovi amici che ti salutano e ti danno gran pacche sulle spalle. Ernest ha dovuto rinunciare ad avere una famiglia e lo testimonia la catenella che porta alla caviglia con un minuscolo campanellino che tintinna leggero al suo passaggio. E' il segnale, presso la sua tribù, che individua uno scapolo, non è ben chiaro se per mettere in guardia o per invitare le donne disponibili.  
Niente moglie quindi, ti conferma con una certa tristezza, ma niente lucchetti come sottolinea con più soddisfazione, però otto figli da sei donne diverse, un po' come i marinai, forse una in ogni porto. Due per la verità non sono neanche suoi, ma è come se lo fossero e lui alla fine li mantiene tutti come un pater familias responsabile, anche se alcuni sono ormai grandi e indipendenti. Ma ha dei sogni Ernest? Se entri un poco in confidenza, alla fine te li racconta. La sua famiglia è originaria della Tanzania sudoccidentale. Un piccolo villaggio sul lago Tanganica, Mtakundia, vicino a Kirangu. Lì c'è una piccola fattoria, una shamba di 26 acri, dove lui si ritira nella stagione delle piogge, quando non arrivano turisti. Davanti alle acque blu del lago, qualche campo fertile, un orto rigoglioso e tanti alberi da frutta, manghi, papaye, banane e quando te lo racconta il sorriso si allarga e vedi che gli brilla lo sguardo. Ha tante api e produce miele, vorrebbe tanto provare a impiantare una coltura di chiodi di garofano. Non manca più molto al momento in cui lascerà la vita girovaga e vagabonda. Di certo nel suo villaggio sarà una figura di riferimento. La sua esperienza del mondo, le sue conoscenze gli danno una posizione preminente tra i suoi compaesani. Per questo ha progetti, anche per la sua comunità. Ci sarebbe da risolvere il problema dell'acqua, troppo lontana dal paese, di un pozzo da fare, di canalizzazioni da preparare. Quando siamo stati in una missione che si occupa anche di progetti idraulici, guardava con grande interesse le pompe eoliche e un poco gli brillavano gli occhi, subito spenti quando ha fatto i conti dei dollari necessari. La miserie umane che misurano i costi e mettono in secondo piano i  bisogni. Ma chissà, le speranze sono sempre le ultime a morire e non bisogna rinunciare ai sogni. Lo sa Ernest e si butta addosso il grande mantello rosso masai, si siede all'ombra con una birra in mano, dopo tante ore di guida, a riposare e ride di cuore alle tue barzellette dandosi gran pacche sulle gambe robuste. Così alla fine del viaggio, quando lo saluterai con un forte abbraccio, te ne andrai con quel sottile velo di tristezza che ti porti dentro quando lasci un amico sincero.
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