La storia siamo noi, attenzione, nessuno si senta escluso

Da Iomemestessa

La prima volta é stato mentre abbozzavo Tutti gli uomini della Presidenza.

Il problema non erano quasi mai le cronache spicciole, ma non il non perdemi tra le mille storie collaterali che sorgevano qua e là nella narrazione e, che da sole, avrebbero avuto la forza per essere argomento.

Si potrebbe pensare in quei post, come in quelli che verranno, si parli di storia. Ma non è propriamente così. Si parla di passato. La storia è, certamente, anche passato. Ma il passato non è necessariamente storia. Sulla storia si è consolidato un modo di pensare, anche un giudizio, se vogliamo, sul passato, il giudizio resta sospeso ed è figlio, anche, delle convinzioni politiche, etiche, sociali, di ciascuno.

Le storie dei Presidenti erano racconti dell’altro ieri. I racconti dell’altro ieri, a noi figli degli anni settanta, li facevano genitori, nonni, zii. Quel microcosmo adulto che ci girava intorno e che ci raccontava il passato, appunto. Affinché fossimo in grado di comprendere il presente.

Microcosmo adulto, si diceva. Oggi, i nostri figli molto spesso non hanno più un microcosmo adulto con cui rapportarsi. Quando dico figli, non intendo i quattrenni, cinquenni, seienni che ci albergano nel letto la notte. Quelli sono ‘figli a noi’, certo. Ma i nostri figli, biologicamente parlando, potrebbero essere tutti quei ragazzini da venti in giù, con i pantaloni abbassati sul culo (e tenuti su col velcro, sospetto) con mutanda in bellavista, o la gonna troppo corta a far vedere la già mutanda (sempre lei, quella che le nostre nonne tenevano pudicamente nascosta e i nostri figli esibiscono come uno status).

Quel microcosmo adulto, si è imbarbarito. Ignorante per conto proprio, privo di interessi, non racconta più nulla. Non ne avrebbe nemmeno i mezzi, si sospetta. Non è classismo, non c’entra la povertà, l’emarginazione, la scarsa cultura. C’era più consapevolezza davanti ai cancelli di Mirafiori negli anni ’70, dove il titolo di studio medio era una quinta elementare, che in molti laureati del 2015.

Non aiuta neppure la scuola. I programmi sempre lì s’arrestano. Alla fine della seconda guerra mondiale. E’ quasi trascorso un secolo. Per il MIUR, direi invano. Il muro di Berlino è stato eretto ed abbattuto, la Yugoslavia è esplosa, il mondo arabo ne ha viste di ogni, ma per noi il mondo finisce a Norimberga. Si esce dalle scuole superiori ignorando l’esistenza di Pol Pot, del Vietnam, di Stephen Biko, di Menghistu e Bourghiba.

Eppure il passato prossimo dell’Italia è imprescindibile per poter provare a leggere il presente. Poi ciascuno farà le proprie scelte. Anche discutibili. Ma la consapevolezza è essenziale. Ecco, qui comincia un percorso sulla consapevolezza. Da dove veniamo, dove andiamo. Forse, cammin facendo, ci faremo un’idea di chi ha spento la luce. O forse no.

Sono cronache di fatti avvenuti. Non storia. Al massimo passato. Senza una cronologia ben definita. Sugli istinti del momento. Una cronaca che vuole essere sociale, prima ancora che politica.

Intanto, per questa settimana, dedichiamo al nuovo filone il film del lunedì, La meglio gioventù che di questa nuova avventura sarà, un po’, il filo conduttore


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