La “storia vera” del denaro

Creato il 26 agosto 2014 da Libera E Forte @liberaeforte

Prima le monete venivano forgiate con l’argento. Poi sono diventate di rame argentato. Ora sono di latta, e tutti fanno a gara a chi ne batte di più. L’importante, hanno capito i governanti, è che sul metallo ci sia impressa l’immagine del sigillo regale, simbolo e garanzia dell’autorità e della fiducia che va riposta in essa. Ma è giusto ripagare con la latta chi ha pagato con l’argento? E perché non è permesso versare le tasse in monete di latta?” Questa, in sintesi, la risposta che il mercante ebreo fornisce al Governatore nella pièce treatrale “La Torre” di Hugo von Hofmannsthal, andata in onda ieri sera su Rai 5.

Il Governatore, chiuso nella sua dimora, aveva chiesto al mercante di cosa parlasse la gente, e quello utilizza il racconto delle monete per spiegargli le cause della nascente rivolta del popolo, spossato dalla crisi. Una rivolta causata principalmente dalla “mancanza di fiducia” in chi governa, responsabile dell’inganno della trasformazione dell’argento in latta.

Mutatis mutandis, è la stessa tesi del libro di Felix Martin Denaro. La storia vera: quello che il capitalismo non ha capito, ovvero che le crisi nascono dalla mancanza di fiducia. “Il denaro – afferma Martin – non è affatto una cosa, un oggetto materiale dotato di un valore in sé, naturale e immutabile, bensì una tecnologia sociale, caratterizzata da una forte valenza politica”. E uno dei suoi principi base consiste nella sua capacità di essere trasferito: punto fondamentale, perché “mentre tutto il denaro è credito, non tutto il credito è denaro; ed è la possibilità del suo trasferimento a fare la differenza”. Perché il sistema creditizio funzioni, è però necessaria una condizione preliminare: la fiducia reciproca. Se questa viene a a mancare, l’intero sistema va in crisi.

Martin propone l’analogia con la storia di re Mida: non è l’oro in se stesso a garantirci la sussistenza, perché non lo possiamo mangiare; la sua importanza consiste nel fatto che con quello possiamo acquistare il cibo. E il suo valore non deve essere assoluto: “è essenziale non che lo standard di valore economico sia fissato irrevocabilmente, ma che risponda alle esigenze di una politica democratica”. In particolare, Martin si riferisce a “l’attuale struttura del sistema bancario internazionale” che “socializza le perdite – i contribuenti pagano i salvataggi – mentre i guadagni sono privati; banche e investitori raccolgono i profitti”. Non è cambiato molto dai tempi di Hofmannsthal: chi detiene il potere pretende l’argento per sé e distribuisce la latta…

Lo Stato – nota Ermanno Bencivenga commentando il testo di Martin nell’articolo “Le molte facce di re Mida” sul Sole 24 ore del 24 agosto – dovrebbe quindi intervenire per “calmare il panico che subentra quando tale fiducia viene meno; ma bisognerebbe evitare che, passata la bufera, i soliti noti rimangano gli unici a trarre vantaggio dalla crisi e dal suo superamento (come insegna la crisi in corso)”.

Sulla stessa linea si muove l’autore del libro, che non è anti-capitalista ma fautore di un liberismo regolamentato e non assoluto e irresponsabile: “lo scopo ultimo delle manovre monetarie non è la stabilità monetaria, o quella finanziaria, ma una società giusta e prospera” che si fondi sull’equità e la giustizia sociale; e, come chiosa Bencivenga, la coesione sociale non può essere ottenuta dall’egoismo individuale ma “dalla comune consapevolezza che potremmo acquisire attraverso la cultura e il dialogo”.

La conclusione, a cui spesso gli articoli della nostra testata fanno riferimento, è sempre la stessa: “buona cultura” e “buona politica” in vista del bene comune. Indirizziamo il nostro appello a Corrado Passera, che in questo periodo ci sembra uno dei pochi seriamente intenzionati a muoversi in questa direzione, e che nel suo programma ci parla proprio di fiducia e coesione sociale, in particolare riguardo al welfare: “senza protezione sociale, senza solidarietà, gli individui, sempre più isolati e soli, perderebbero ogni fiducia e cadrebbero vittime della paura: tanto più in una situazione di crisi e di trasformazione come quella odierna, che genera una sensazione d’impotenza”. Una crisi, prosegue Passera, che “sta tagliando le risorse per i servizi essenziali”, quando “ridurre ancora di più il welfare significa andare verso la rottura dei legami che formano il tessuto connettivo di una società … al contrario, dobbiamo fare ogni sforzo non solo per difendere le conquiste del passato, ma per potenziare il nostro welfare, trasformandolo in un motore di sviluppo”.

MC


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