La strada e Melancholia. Due modi di vedere la catastrofe

Creato il 28 ottobre 2013 da Eymerich

Ce la caveremo papà?
Si. Ce la caveremo.
E non ci succederà niente di male.
Esatto.
Perchè noi portiamo il fuoco.
Si. Perchè noi portiamo il fuoco.
La Strada, Cormac McCarthy
Nei film, nei romanzi, nei fumetti, nei videogiochi, quante volte abbiamo visto in scena il futuro, più o meno, catastrofico dell’umanità e del nostro pianeta? Questo può sicuramente essere il sintomo costante della consapevolezza dei rischi a cui la nostra società va incontro, della paura degli effetti devastanti dei nostri mezzi tecnologici, dall’ansia data dagli squilibri sociali, dal sovrapopolamento e delle proiezioni statistiche sull’esaurimento delle risorse materiali ed energetiche.Alla luce di queste paure, molti teorici hanno cercato di interpretare la sfuggente situazione presente e ipotizzare una possibile chiave di volta per un cambiamento che ci permetta di affrontare il nostro tempo e quello che deve ancora venire, come nel caso del sociologo e scrittore tedesco Ulrich Beck e della sua teoria della “società del rischio”, emblema, a suo parere, della nostra quotidianità.Questa premessa è un incipit volto a riflettere su due opere, una letteraria e una cinematografica, che ci parlano entrambe di catastrofe in maniera molto diversa : “La Strada” di Cormac McCarthy e “Melancholia” di Lars Von Trier.Nella visione del nostro presente teorizzata da Beck, ovvero quella della società del rischio, gioca un ruolo davvero importante il formarsi di una comunità di pericolo, che spronata da un rischio di portata globale ha l’occasione, il dovere e la necessità di prendere coscienza e muoversi all’azione. Tutto questo fa pensare al delinearsi di una dimensione più collettiva e gregaria, oltre che a una speranza e una fiducia di uscire dallo stagnamento creato dalla natura invisibile e incerta del rischio. Il romanzo di Cormac McCarthy porta in scena un’immagine del futuro, del mondo, degli uomini e dei loro oggetti totalmente differente.

I due protagonisti del Romanzo sono completamente soli, vagano per un mondo completamente distrutto, freddo e oscuro, non c’è traccia di solidarietà sulla strada che “L’uomo” e “il bambino” percorrono incessantemente, anzi gli altri uomini sono visti come un pericolo, come entità malvage da cui stare alla larga. L’uomo e il bambino sono i “buoni” e si contrappongono agli altri che sono “cattivi”, si innesca quasi una lotta per la sopravvivenza in un mondo che ormai sembra non avere più risorse da offrire.
Il paesaggio è ricoperto di cenere, l’orizzonte è una distesa di rovine, la natura è completamente sfigurata e gli oggetti che i due personaggi trovano rimandano ad una civiltà che ormai sta scomparendo, responsabile implicito di un incubo che si è realizzato e che ora è realtà attiva, con le sue logiche e le sue caratteristiche da affrontare. Sembra di essere tornati ad uno stadio primitivo della civiltà, dove l’uomo per sopravvivere deve accontentarsi di ciò che trova in giro, di ripararsi in posti di fortuna, di andare avanti continuamente in una perenne battaglia per restare in vita, tuttavia, a differenza della nostra immagine di primitività dove l’uomo è raccoglitore e cacciatore ed è perfettamente inserito nell’ambiente naturale e nel suo ciclo vitale, nel romanzo di McCarthy la natura non ha più nulla da offrire, non ci sono piante, ne grotte dove ripararsi, non ci sono animali da cacciare, ci sono solo i resti di una vita lontana ormai in deperimento. I due protagonisti si riparano sotto un telo di plastica, si portano dietro un carrello di cianfrusaglie e di cibo in scatola, l’unico nutrimento che sembra essersi salvato dalla distruzione. Tutto il mondo delineato da McCarthy sembra essere una grande discarica, perfino il mare, raggiunto dai due protagonisti nell’ultima parte del romanzo, si presenta come una distesa scura e fredda dove sopravvive solo un relitto arrugginito e mal messo. 

In un immaginario simile non trova posto la speranza, né l’immaginazione di un futuro migliore. Scorrendo le pagine del libro sembra proprio non avere nemmeno senso pensare ad una via di uscita, ad una svolta che possa far uscire i due protagonisti e l’umanità da quella arida distesa di cenere che è il mondo. L’immaginazione sul futuro e i suoi rischi, che nel pensiero di Beck deve essere l’input per la presa di coscienza del singolo e per la formazione di una comunità di pericolo globale, in McCarthy manca del tutto, non c’è futuro a guidare le azioni dei due protagonisti né immaginazione a figurare i rischi del domani, c’è solo l’autoconservazione presente, la ripetitività del passo lento su una lingua d’asfalto che conduce ad una meta senza nessun significato. Quel mare che dovrebbe simboleggiare la via per un posto migliore e lontano,in realtà è soltanto una massa oscura, fredda e insormontabile.L’immagine del mondo che emerge da “La Strada” è qualcosa di quasi surreale, rappresenta la nostra paura più estrema rispetto al nostro futuro. Leggendo il romanzo è difficile credere che la nostra vita possa davvero trasformarsi in un tenebroso vagabondaggio tra cenere, macerie e pioggia gelida, tuttavia la scena risulta così forte e opprimente nella sua ripetitività da smuovere, a mio parere, un sentimento di angoscia che ci fa riflettere sul valore della nostra vita e sull’importanza di preservare il nostro pianeta.

Se l’analisi di sociologi o filosofi come Beck o Benjamin cercano di analizzare la realtà e la storia razionalmente e di mettere in luce buoni argomenti per cui è necessario un cambio di rotta, l’arte con le sue tinte forti e le sue potenti immagini fa presa sul nostro lato emotivo, smuove i nostri sentimenti e fa emergere le nostre paure. Anche questo, a mio parere, può essere un input forte alla riflessione e all’azione. Non a caso Benjamin per esprimere il suo concetto di storia come un’immensa catastrofe parte proprio dal gioco immaginativo con un piccolo quadretto di Paul Klee dal quale egli non si è mai separato. Sono tanti gli spunti che l’arte offre sul tema del rapporto dell’uomo con la catastrofe, nel mio caso particolare la lettura del romanzo di McCarthy mi ha rimandato ad una interpretazione cinematografica che rappresenta la catastrofe in modo sicuramente molto differente da quella presentata dallo scrittore statunitense, ma che può, a mio parere, dare buoni spunti di confronto. Mi sto riferendo al film “ Melancholia” di Lars Von Trier.Nell’opera di Von Trier il tema centrale è il rapporto tra due sorelle Justine e Claire, sullo sfondo di un imminente catastrofe planetaria dovuta all’impatto con la terra di un pianeta azzurro e bellissimo di nome Melancholia. Il film, oltre ad analizzare la complicata relazione tra le sorelle e a mettere in luce una profondissima analisi psicologica dei personaggi, ci mostra a fronte delle differenze caratteriali, di vita e di aspettative delle due sorelle, il diverso stato di attesa e reazione alla catastrofe imminente. Justine, sprofondata in una terribile depressione catatonica la sera del suo stesso matrimonio non chiede più nulla alla vita, è priva di ogni tipo di aspettativa o speranza, niente la soddisfa e dopo aver tradito e lasciato il suo novello sposo, arriva a dipendere totalmente dalla sorella Claire costretta ad accudirla ed aiutarla per ogni cosa. Claire invece vive una vita “normale”, ha un marito e un figlio di nome Leo. Nel frattempo, come già accennato, il cielo che sovrasta i nostri personaggi diventa il teatro di una possibile irreversibile catastrofe che segnerebbe la fine del mondo. Un pianeta, Melancholia, dopo aver offuscato la stella Antares si sta avvicinando alla terra minacciosamente, secondo il marito di Claire, esperto di astronomia, le probabilità che l’impatto si verifichi sono scarse, tuttavia strani fenomeni atmosferici e strani comportamenti negli animali (i cavalli si imbizzarriscono apparentemente senza motivo) fanno presagire che non sia così. Il pianeta infatti si avvicina sempre di più e ora è la sorella “forte”, Claire, a soffrire di crisi depressive ed è invece Justine ad affrontare la catastrofe imminente con più tranquillità e sicurezza. La situazione via via che il pianeta si avvicina sale in un climax di tensione, il marito di Claire, capito ormai il destino della terra, si suicida lasciando la moglie, Justine e il piccolo Leo soli ad affrontare l’impatto. Justine è ora la forte del gruppo, colei che era troppo “ debole” per la vita diventa ora, nella catastrofe, la più forte. L’impatto è imminente, Justine decide quindi di costruire un rifugio immaginario, una piccola capanna di legno, con il nipotino Leo. I tre personaggi entrano nella “ grotta magica” si tengono per mano aspettando l’impatto tutti e tre assieme in un’immagine ormai mistica (o messianica) di attesa. Melancholia colpisce la terra in un esplosione che riempie completamente lo schermo.

Quello che si può ricavare di utile per la nostra riflessione dal film di Von Trier sono soprattutto i temi dell’immaginazione e della solidarietà già presenti in qualche modo sia in Beck che in McCarthy.Justine, come i due protagonisti di Mc Carthy, sembra non avere speranze, non c’è un futuro davanti a lei. La depressione la pervade a tal punto da vivere ormai in una monotonia quasi irrazionale, non progetta, non immagina perché non ne ha bisogno. Non c’è futuro e quindi non c’è nulla da immaginare. Proprio per questo nel momento della catastrofe è lei quella più forte, in quanto l’ha già accettata da tempo. Claire al contrario è immersa nella sua vita, per lei l’impatto di Melancholia è la distruzione di tutte le sue speranze, di tutti i suoi progetti, ella vorrebbe fare qualcosa ma si sente impotente, vorrebbe reagire in qualche modo, ma la distruzione è inevitabile perché ormai è in atto. Questo può rimandarci a Beck e alla natura intermedia tra sicurezza e distruzione del rischio. Proprio perché il rischio è ancora “virtuale” e non è ancora in atto può essere l’input per l’azione e deve esserlo. Si può agire nella previsione di una catastrofe che si potrebbe evitare mentre, come ci insegnano Melancholia e La Strada, non sembra esserci futuro nel disastro totale in atto.L’altro tema, come accennato, è quello della solidarietà. I personaggi di Von Trier si riuniscono insieme sotto un riparo, che se pur fittizio, simboleggia quel bisogno di sicurezza comune e quella necessità di affrontare insieme la catastrofe. Questo, ovviamente, può rimandarci ancora a Beck e alla necessità di formare una comunità globale di pericolo che possa con un sincero sforzo sinergico affrontare e vivere il rischio con nuova coscienza.


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