Attraverso interviste a sopravvissuti, testimoni oculari, psichiatri, poliziotti e giornalisti, il documentario ripercorre i principali momenti di quell'evento, puntando i riflettori anche sulla vita di Breivik. Figlio di un diplomatico e di un'infermiera, la sua infanzia è segnata dal divorzio dei genitori e da un comportamento che attira l'attenzione degli psicologi. Adolescente, entra a far parte di una gang nazionalista, ma viene allontanato dai suoi coetanei. Per qualche anno abita con la madre, poi tende ad isolarsi, frequentando gruppi di estrema destra. Decide infine di andare a vivere in una fattoria nei dintorni di Oslo, dove organizza il massacro, pianificandolo nei minimi dettagli.
L'autobomba delle 15.26 serve infatti a Breivik a tenere impegnate le forze dell'ordine ad Oslo, dandogli il tempo di recarsi sull'isola di Utoya, dove si svolge un raduno di giovani appartenenti al partito laburista: è questo il suo vero obiettivo. Appena arrivato sull'isola, Breivik inizia a sparare: è calmo e metodico. Alcuni dei giovani provano a nascondersi tra i boschi o in acqua, ma vengono raggiunti dalla follia omicida del trentaduenne norvegese. Dopo circa un'ora gli uomini dell'antiterrorismo catturano Breivik. Sull'isola muoiono 69 persone: la più giovane ha 14 anni.