La struttura elementare della materia. Presenze aristoteliche in Giordano Bruno di Lucia Girelli (Lo Sguardo – numero V, 2011)

Creato il 31 marzo 2011 da Filippogiordanobruno

La struttura elementare della materia.

Presenze aristoteliche in Giordano Bruno

di Lucia Girelli



1. Introduzione

Fin dai tempi della filosofia greca, uno degli argomenti imprescindibili della fisica era la teoria degli elementi, cioè delle parti prime, non ulteriormente scomponibili, che formano i corpi. Empedocle stabilì quali e quanti fossero, Platone parlò della loro genesi nel Timeo e Aristotele ne diede la più esauriente trattazione nel suo sistema cosmologico. Fu la dottrina peripatetica che si trasmise poi in Occidente e rimase la teoria fisica dominante fino all’età moderna ed è con questa dottrina che Giordano Bruno deve confrontarsi in base alle conseguenze dalla sua rivoluzione cosmologica.

Lo Stagirita ancorava la sua teoria degli elementi alla struttura dell’universo: nel terzo libro del De caelo sosteneva che, come ai corpi composti si addicono moti composti, così ai corpi semplici spettano soltanto moti semplici che, data la finitezza del cosmo, possono essere soltanto due, in quanto solo due sono i luoghi verso cui si possono dirigere con un moto rettilineo, l’alto e il basso. Di conseguenza, se i moti semplici sono in numero finito, anche gli elementi sono in numero finito, ma devono essere almeno due o, per lo meno, devono esserci due tipi di elementi come due sono i moti naturali. Gli elementi infatti sono quattro perché uno di essi, il fuoco, sta in alto e sovrasta tutti gli altri, la terra sta in basso e sottostà agli altri tre e, come esiste un luogo intermedio, così esistono altri due elementi, l’aria e l’acqua, che allo stesso tempo sovrastano alcuni e sottostanno ad altri quasi secondo un criterio di simmetria. Nel De generatione et corruptione la natura degli elementi è ricondotta al loro essere i primi sinoli possibili, generati dalla combinazione della materia e di due qualità primarie, una attiva e una passiva. Le loro trasformazioni reciproche sono spiegate a partire dall’interazione di queste quattro qualità, ma nei Meteorologicorum libri queste ultime vengono ricondotte all’influenza dei moti celesti e, quindi, alla suddivisione tra mondo terrestre e mondo celeste. Il movimento della sfera della Luna, per un fenomeno che potremmo dire simile all’attrito, trasmette movimento e calore alla regione periferica della Terra e, scendendo verso il basso, l’effetto di questo ‘attrito’ diminuisce, per cui il centro del cosmo è freddo e riceverà calore solo per l’azione del Sole. È questa la ragione per cui i corpi freddi tendono verso il basso e i corpi caldi verso l’alto, ossia questo è il legame tra qualità primarie e peso e leggerezza.

Se l’aristotelismo lega a doppio filo la teoria degli elementi e l’impianto cosmologico complessivo, Bruno, che proprio contro questa cosmologia scaglia le sue critiche più distruttive, deve elaborare una teoria alternativa, costruita su altri principi e altre fonti. Tuttavia, la formazione che Bruno ricevette presso lo studium generale di S. Domenico Maggiore a Napoli fu quella aristotelico-tomista e lo stesso Nolano fu autore di un compendio della Physica, la Figuratio aristotelici physici auditus, e un commento a vari testi dello Stagirita (i primi cinque libri della Physica, il De generatione e il quarto libro dei Meteorologica), i Libri physicorum Aristotelis explanati. La prima opera fu pubblicata a Parigi nel 1586 per dimostrare che egli ben conosceva le dottrine che si apprestava a demolire in una pubblica disputa al Collège de Cambrai, la seconda, inedita fino al 1891, costituisce il canovaccio delle lezioni che Bruno tenne a Wittenberg tra il 1587 e il 1588. Il Nolano conosce molto bene la fisica aristotelica e, a detta di Felice Tocco (l’unico studioso che abbia a tutt’oggi analizzato i Libri physicorum con una certa cura)

«i consensi col suo Autore sono forse maggiori dei dissensi, e (Bruno) non ha difficoltà di manifestare questi ultimi, per fare bene intendere, che dove esplicitamente non combatte o non ritocca le dottrine aristoteliche, non è molto lontano dall’accettarle».

Non è peregrino, pertanto, chiedersi se qualche influenza delle dottrine aristoteliche sopravviva nella fisica del Nolano, laddove esse non contrastino apertamente con il suo nuovo sistema cosmologico.
L’unica trattazione sistematica della teoria degli elementi è condotta da Bruno nel De rerum principiis et elementis et causis, un testo risalente al 1589 e che oggi viene classificato tra le cosiddette ‘opere magiche’. La prima parte di quest’opera, dopo una breve introduzione, è costituita dall’esposizione delle caratteristiche dei quattro elementi in capitoli appositamente dedicati a ciascuno di essi. In tutti gli altri testi in cui il Nolano fa menzione di questo argomento si hanno soltanto brani più o meno approfonditi all’interno di capitoli o sezioni destinati alla dimostrazione di altre tesi. Si tratta di altre due ‘opere magiche’, il De magia naturali e le Theses de magia, contemporanee al De rerum principiis, e dei tre poemi francofortesi del 1591, il De triplici minimo et mensura, il De monade, numero et figura e il De innumerabilibus, immenso et infigurabili. Anche nel Camoeracensis Acrotismus del 1588, un’esposizione organica delle obiezioni di Bruno alla fisica peripatetica, si ha qualche accenno utile al confronto con la teoria aristotelica, mentre alcune argomentazioni esposte nelle opere latine si trovano già nel dialogo De l’infinito, universo e mondi del 1584.

2. Genesi ed elenchi

In primo luogo, si può osservare che in Bruno manca una spiegazione del rapporto tra elementi e materia, ossia manca la giustificazione della struttura elementare della materia, che lo Stagirita invece fornisce. Dopo aver trattato dei principi ‘logico-ontologici’ del divenire, ossia materia, forma e privazione, Aristotele mostra come da questi si passi alla struttura elementare dei corpi. Nel De generatione si riallaccia alla Physica sostenendo che i quattro elementi sono generati a partire da una materia comune perché, se il divenire è mutamento da un contrario all’altro, deve esserci un sostrato su cui i contrari operano in quanto non possono interagire tra loro. Se i corpi sono tangibili, allora i primi contrari da cui tutto ha origine devono essere a loro volta tangibili:

«[Quoniam] igitur quaerimus sensibilis corporis principia, hoc autem est tangibilis (…), manifestum quod non omnes contrarietates corporis formas et principia faciunt, sed solum quae secundum tactum».

Questi contrari sono le coppie di qualità caldo-freddo e umido-secco, delle quali la prima è attiva e la seconda passiva. Dal momento che i corpi si modificano a vicenda, la materia dovrà essere caratterizzata contemporaneamente da una qualità attiva e da una passiva. Ciò che risulta dalla combinazione di materia e primi contrari tangibili sono i minimi sinoli possibili, le componenti prime dei corpi ossia i quattro elementi: il fuoco caldo e secco, l’aria umida e calda, l’acqua fredda e umida e la terra secca e calda. Che questi elementi siano generabili e corruttibili si può constatare nella nostra esperienza quotidiana: come vediamo che il fuoco si estingue o perché si esaurisce da sé o perché è spento dal suo contrario, così deve essere anche per gli altri elementi. La teoria delle qualità ci permette di spiegare tutto questo in base alla trasformazione reciproca dei corpi primi: un elemento si muta in un altro quando una delle sue qualità viene sostituita da quella contraria.
Proprio questa reciproca trasformabilità viene contestata da Bruno nei Libri physicorum Aristotelis explanati, in cui il Nolano afferma infatti che «in via vero Peripatetica cum haec in invicem transmutari intelligantur, non plus habent rationem principii quam principiati» e quindi «respiciendum est ad rem significatam iuxta Peripateticorum morem, non autem ad nomen significans, quandoquidem de ratione veri elementi est, ut sit ingenerabile et incorruptibile». L’avvento della filosofia aristotelica ha cambiato il linguaggio al punto che oggi ci si riferisce più alla cosa indicata dal termine ‘elemento’ che al significato vero e proprio della parola. Si tratta di un’obiezione molto forte, ma si deve ricordare che lo stesso Aristotele si dimostra ben consapevole di conferire ai suoi elementi un carattere composto e principiato, in quanto i veri principi sono la materia, cioè il sostrato indeterminato che rende possibile l’esistenza dei corpi, e i contrari definienti. Tuttavia, la materia non può esistere senza i contrari che la definiscono né i contrari possono sussistere indipendentemente da un sostrato materiale, quindi è sempre necessaria la combinazione di materia e forma per avere una realtà dotata di esistenza effettiva. Per questo gli elementi sono da considerarsi parti prime dei corpi, pur non essendo i loro principi ultimi.
Bruno non fa che evidenziare un aspetto della dottrina aristotelica e, richiamandosi a una più autentica concezione degli elementi, rifiuta la loro conversione reciproca. Dopo aver elencato quali siano per lui i veri elementi, nel De magia naturali il Nolano afferma a chiare lettere che «haec enim ita sunt ab invicem distincta, ut unum non possit unquam in alterius naturam transformari, sed bene concurrunt haec et associantur». Il motivo di questo rifiuto, a una prima analisi, può sembrare oscuro e incoerente con la ‘nolana filosofia’, tesa alla dimostrazione dell’unità del tutto. Per giustificare la reciproca trasformabilità degli elementi, infatti, Aristotele invocava l’unità della materia al di sotto delle modificazioni nell’assetto qualitativo dei corpi primi. Se gli elementi non mutano l’uno nell’altro, allora Bruno si trova a concludere che esistono quattro tipi diversi di materia, inficiandone, se non l’unità, l’unicità.
La ragione del rifiuto sta nella critica che Bruno formula nei confronti della concezione aristotelica della materia che, a suo avviso, è da considerarsi come un’entità logica e non fisica:

«Quale enim primum subiectum, quale primum principium, quod ab esse sequentium non absolvitur, quod nullam ex se, sed omnem et aliunde habere dicitur actualitatem, esse potest?»

Un sostrato che non abbia in sé nulla che lo renda attuale, non può avere un’esistenza fisica indipendente ed è pertanto solo un ente logico. Anche di questo Aristotele era consapevole, come abbiamo visto, ma Bruno mostra l’incoerenza interna delle dimostrazioni dello Stagirita proprio facendo riferimento alla critica alle teorie platoniche e pitagoriche secondo cui i corpi sono formati da superfici…

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Fonte:

Lo Sguardo.net Rivista Elettronica di Filosofia Editore Alberto Gaffi – Numero V, 2011


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