La Suerte di Giulio Laurenti

Creato il 23 giugno 2011 da Tiziana Zita @Cletterarie

Produttore di olio e vino, ha pubblicato libri di racconti e poesie, ha creato la web tv Nonleggere.it, ha da poco avviato Anobio Editore, una piccola casa editrice che stampa con caratteri di piombo. Da circa un anno ha pubblicato Suerte con Einaudi Stile Libero e a fine mese uscirà Per sempre ragazzo, un libro in cui 30 autori dicono la loro su Carlo Giuliani.
Come si passa dal produrre vino e olio alla scrittura?

Ho sempre scritto ma negli anni, dopo la pubblicazione di 3 etti e ½ (Pequod, 2001), mi sono fatto distrarre da molti altri interessi e lavori… quando è arrivata la crisi del vino e ho rischiato la bancarotta, ho ricevuto l’offerta di Ilan Fernandez, il personaggio di Suerte: “Scrivi la mia storia”. Così ho messo via le cesoie, le potature sono saltate e mi sono immerso nove mesi nella quotidianità di un ex narcos divenuto stilista. Uscire così a lungo dal mio Io è stato assai salutare.

Vorrei chiederti qual è la gavetta che bisogna fare prima di arrivare a pubblicare con un grande editore. Tutto quel sottobosco di contatti, rifiuti, mezze promesse. Insomma che tocca fare per pubblicare?
Io sarei un cattivo consigliere perché alle volte neppure mandavo i testi che editori importanti mi chiedevano dopo aver respinto il dattiloscritto a cui tenevo. Sicuramente a me ha fatto bene uscire ogni anno con racconti su antologie (Coniglio editore, Deriveapprodi, Teti editore, Il Manifesto). Pubblicare abbastanza spesso anche piccole cose evita la sindrome dell’eterno rifiuto… come diceva Flaiano: esistono solo geni compresi. Vedersi inseriti in antologia aiuta a ricordarselo e a non sentirsi inediti a vita.
Forse l’unico modo di trovare un buon editore al proprio libro è quello di fare un’opera che susciti interesse. E nel mio caso è accaduto con Suerte ma non è detto che si ripeta.

Tu sostieni che per capire se un libro vale, basta una pagina. Eppure gli editori faticano molto a leggere e a decidere. Se invii un manoscritto è facile che arrivi la lettera di rifiuto standard, ammesso che rispondano. Quali consigli puoi dare a un aspirante scrittore? 

Per capire se un fotografo è bravo basta uno scatto. Poi ovviamente, fatta la cernita tra la tanta robetta e il poco di valore che chiede di essere scoperto, occorre approfondire. Io ho capito che per attirare l’attenzione di un editor serve una educata ma decisa insistenza perché sono sommersi dai manoscritti e un certo contatto personale fa gioco. Ma è l’opera che deve essere pubblicata, non l’autore. E quindi è Lei che deve valere. Serve tenacia e perseveranza. Dirsi sempre, davanti lo specchio, all’ennesimo silenzio editoriale, che i grandi come Kafka, Proust e tanti altri hanno passato le stesse pene e che di certo non se le meritavano più di qualsiasi autore inedito odierno, anzi. Molti editor credo che siano stufi del lavoro che esercitano perché altrimenti la cernita sommaria la farebbero velocemente. Moltissimi autori credono che un editore debba solamente pubblicare ma dimenticano che un libro deve essere anche venduto.

Ora con la rivoluzione digitale tutto cambia. Senza le spese di stampa e distribuzione i prezzi degli ebook caleranno. Probabilmente gli editori non saranno più necessari, almeno così come sono ora. Se un autore adesso prende dal 5 al 15 per cento del prezzo di copertina, in futuro potrà prendere il 70 per cento di un impalpabile libro digitale. Questo su Amazon accade già. Eppure in Italia i prezzi degli ebook sono uguali a quelli di carta. Che pensi di tutto ciò e perché hai appena aperto una casa editrice che stampa a piombo?
È presto per dire dove porterà l’ebook. Per comprendere la rivoluzione della stampa con Gutenberg c’è voluto parecchio, almeno fino a Aldo Manuzio e agli editori del cinquecento veneziani, con il tascabile, le antologie, i commenti. Il mito dell’autopubblicazione digitale è una balla. I lettori hanno bisogno che qualcuno scelga, faccia una selezione, tra i milioni di testi che si producono. Per questo in rete, da subito, sono nati i portali tematici, perché altrimenti i siti singoli non trovavano attenzione. Il 10 % del prezzo del cartaceo è certamente più del 70 % di diritti del digitale se questo lo si vende a un euro. I fenomeni americani dove uno scrittore di fantasy autopubblicato fa fortuna è lo specchietto per le allodole di milioni che ci provano senza risultati. E anche se Proust offrì all’editore di pagare le spese del suo primo volume, subito Gide, che lo aveva bocciato, volle averlo nella sua casa editrice. Crederò all’autopubblicazione solo quando un odierno Gide scriverà all’autore senza editore quello che Gide scrisse a Proust.

Perché allora aprire Anobio Editore e perché a piombo? In Italia si pubblicano opere di poesia, per lo più lirica, e per questo i lettori scappano. Oppure ermetica e sperimentale. Io vorrei editare opere che ritengo valide e senza quel contorno di rapporti clientelari che in genere si creano tra docenti universitari e editori di poesia che li pubblicano. E non a pagamento, sia chiaro.
Perché in piombo: è una mia passione e vorrei che i poeti venissero da me e imparassero un poco il piacere della composizione a mano. Tra l’altro costa molto meno della stampa Off set e è divertente. Si possono fare poche copie di lusso come diecimila economiche, cambia il supporto, non i caratteri messi nella forma. Sto scrivendo un libro su quest’avventura e alcuni capitoli sono già usciti sulla rivista Progetto Grafico.

Nel settore editoriale la crisi si sente ancora e in che modo?
Per quello che ho capito si vende circa un 40 %  in meno. Spero che entro un anno la crisi passerà e in Germania mi dicono che sta lentamente rientrando. Sicuro è che si pubblica troppo. Checché ne dicano gli autori inediti.

Il tuo rapporto con la lettura è cambiato nel tempo? Cosa leggevi prima e cosa leggi ora?
Ho sempre letto molto. Sia saggi che narrativa. Negli ultimi dieci anni è aumentata la poesia: Luigi Trucillo, Roberto Amato i miei preferiti tra gli italiani. Erich Fried, Milosz e la gigantesca Szymborska tra gli stranieri. Rileggo i classici greci e latini e mi capita di rileggere testi amati venti anni fa: americani, inglesi… oggi V.S. Naipaul… come per misurare il cambiamento della mia percezione in questo arco di tempo.

Quali sono i tuoi testi fondamentali?
A parte l’Odissea, Luciano e la filosofia greca, sicuramente Stendhal, Balzac, Conrad, Sterne. Ma non finirei la lista. Tra gli italiani Fenoglio, Gadda, soprattutto Flaiano. Tempo di uccidere mi ha mutato le idee su come scrivere. Homo Faber di Frisch anche. E poi le lettere dall’Egitto di Flaubert. E via dicendo.

Chi sono, a tuo avviso, i migliori scrittori italiani contemporanei?
A me piace Beppe Sebaste. Le poesie edite e i romanzi inediti di Luigi Trucillo. Aceto Arcobaleno di Erri De Luca. Elena Ferrante, anche se dovesse rivelarsi alter ego di uno scrittore napoletano. Saviano di Gomorra.

Secondo te stiamo vivendo una fase di crisi creativa?
No, anzi. Gomorra mi è piaciuto molto. Credo che una decina di autori editi stiano tentando di buttare a mare la prosa d’arte e la mania del Noir nostrano. Due facce della stessa medaglia: snobistico allontanamento dalla realtà.

Parliamo di Suerte. Hai passato nove mesi con un narcos, raccogliendo la sua testimonianza e diventando la sua voce. Come affermi nel libro, questa non è una storia di redenzione. Ilan Fernandez non è pentito per quello che ha fatto, semplicemente dopo il carcere ha deciso di cambiare vita perché quella precedente non poteva più farla. Quando parla della sua organizzazione e della sua attività, individua tutti gli errori commessi e spiega come farebbe ora per farla franca. Sembra quasi dispiaciuto di non poterci riprovare e dichiara: “Io non penso di essere stato ingiusto ma solo criminale, che è una cosa completamente diversa. Ingiusto è per esempio non sparare a uno stronzo che lo merita”. Tutto ciò non ti pone un problema etico?
Assolutamente no. Prima di tutto non giudico i miei personaggi, altrimenti mi sarebbe impossibile dar loro voce. Poi credo che molta politica italiana sia la dimostrazione definitiva di come si possa essere criminale ed eletto in parlamento, per non dire di più. Ilan era un diciottenne di Cali, dove ammazzano più gente che in tutto il Medioriente. Nei suoi panni forse sarei morto subito. La letteratura credo non sia fatta per fornire giudizi, quelli spettano all’eventuale lettore. Il pittore che dipingeva i reali di Spagna e i buffoni di corte raccontava due mondi opposti e contigui. Siamo noi a farci un’idea estetica dell’autore, non lui a spiattellarcela bell’e pronta.

La narrazione in prima persona fa pensare a una confessione registrata. Invece non è stato così. Com’è stato il rapporto con Fernandez? Come hai lavorato in quei nove mesi?
Ho una memoria molto allenata. Posso riportare dieci pagine di conversazione sulla pagina e lasciare il dubbio al protagonista di essere stato registrato. Ogni mezzo tecnico di registrazione tra me e la storia mi impedisce di calarmi nella scrittura. Con Ilan è successo quello che accade con uno psicoterapeuta. L’ho aiutato a ritrovare la memoria cancellata dalle rimozioni. E per fortuna abbiamo la stessa modalità di narrare le cose, questo ha creato l’andamento del romanzo.

All’età di otto anni, quando il padre viene assassinato in circostanze misteriose, Ilan Fernadez passa da una condizione agiata alla miseria. Tentare di sopravvivere nei barrios di Cali non è un’impresa facile. Il primo omicidio lo compie a 13 anni. Ecco come descrive la situazione: lì “spari mentre ti sparano. La velocità è tutto”. “Ti svegli un po’ intontito per l’alcol e la roba, sbadigli e appena impugni la pistola nascosta sotto il cuscino, ti accorgi che mancano le pallottole. A chi le avrai cacciate in corpo? Non ricordi bene ma senti ancora il fischiare dei proiettili. Avrai mancato il bersaglio pure tu come hanno fatto loro? No, sei uscito nel silenzio, gli altri erano probabilmente a terra, agonizzanti! Chi ha cominciato? Tu o loro? Sai che tu comunque hai terminato. Per stavolta”.
Dunque secondo te il suo percorso di vita è stato obbligato dalle circostanze, oppure lui, come tutti noi, lo ha scelto?
Un misto tra le due opzioni. La necessità si misura con la volontà e il talento. E credo che il caso anche abbia la sua parte: un proiettile poteva ucciderlo a pagina cinque.

Hai una tenuta nel viterbese dove vivi con la tua compagna e due figli piccoli. Come si sta in campagna?
Magnificamente. C’è un via vai continuo di amici, scrivo in santa pace, quando occorre c’è internet e il telefono per i rapporti a distanza. L’orizzonte a cento chilometri di distanza mi mette il buon umore nei momenti peggiori. I suoni della natura e i lavori nel giardino o nei filari, mi fanno presente ogni volta che ogni nostro sforzo può essere vanificato dal clima, dai parassiti e dalla scalogna.

Perché si scrive? Cosa ti ispira e come lavori?
Scrivo per il piacere di farlo e perché mi permette di scoprire cose di me e del mondo che altrimenti non verrei a conoscere. Scrivo quasi sempre in stato di semi-trance. Ci sono due approcci diversi in me: uno è quello dell’intimità e ultimamente si esprime meglio in poesia. L’altro è quello della voglia d’esplorare un certo nodo narrativo esterno a me e è il caso dell’ultimo testo appena concluso: La madre dell’uovo (che indaga gli omicidi di Ilaria Alpi e Carlo Giuliani).

Che rapporto hai con Facebook e i social network? Sei pro o contro?
Si può essere contro la pentola a pressione? Uso Facebook soprattutto per lavoro. Non sono dipendente però da Internet e tengo spesso spento il cellulare. Il telefono: si può vivere senza ma avendolo è più comodo. Stessa cosa per Facebook.

A un certo punto hai fatto una scommessa con te stesso e hai deciso di diventare scrittore a tempo pieno: ce la fai a vivere di sola scrittura?
Per ora no… vivo di debiti. Ma se Suerte diverrà un film… come spero, allora avrei da vivere per qualche anno. Ma ero stufo di occuparmi d’altro e benché le mie finanze ne abbiamo risentito sono contento di aver scelto questo: “O la va o la spacca”.


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