La tela bianca

Creato il 11 novembre 2013 da Giuseppeg
C’è una tela bianca, bianca nel senso che non è stata dipinta. È quindi un oggetto che non ha ‘aperto’ un mondo a sé, non è un rimando a nulla d’altro, non propone alcun rinvio di significati. È una tela, e basta. Appartiene ancora alla vita di tutti i giorni, non si è ancora trasferita in una dimensione a sé stante; è ancora immersa nel circuito strumentalistico-oggettuale e pertanto è malleabile, presente, materiale. Il primo punto è questo. Il secondo punto ce lo introduce Lucio Fontana, quando con un gesto rettilineo della mano produce uno squarcio verticale nella tela, e si allontana. Si allontana perché ha finito, perché non c’è altro da aggiungere: adesso il quadro è completato e si inserisce nel 'limbo delle cose finite', definitive, quindi esce fuori dal tempo e persino dallo spazio, dato che la tela diventa intangibile e non ha più comunicazione con il mondo - si sterilizza, diventa un’opera da museo. Ma siamo sicuri che in questo caso sia proprio così?
No. Fontana opera un capovolgimento epocale nel concetto di arte e di azione nell’arte. Non tanto per il gesto provocatorio - Fontana non intendeva distruggere l‘arte, né deridere un certo tipo di gusto; non aveva insomma velleità futuriste -, quanto perché per la prima volta i legami con lo spazio e col tempo non sono spezzati, ma si mantengono nel tracciato del gesto. Ciò significa che la sua azione è pur sempre presente - nel taglio che squarcia la tela, che rivela 'l’aldilà' del dipinto -, che non è camuffata o nascosta, che non serve a produrre qualcosa ma è essa stessa il fine di tutto il processo dell’arte. Ancora più concretamente: nella tela è presente lo spazio come collegamento tridimensionale attraverso la profondità di quella tela aperta; ma soprattutto è presente il tempo come vissuto dell’artista stesso, che ci testimonia che in quel preciso momento c’è stato, è esistito, che 'ha agito qualcosa'. E quel taglio non è più un simbolo ma una traccia, come un’impronta sulla sabbia bagnata: non rinvia a nient'altro che a se stesso; è esperienziale, concreto, diretto. È la fine dell’estraneità dell’arte; è un’estensione attiva della propria vita. 

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