A mio parere i tempi di una riscossa non sono mai stati così maturi, tanto più che domani ci ritroveremo con un Pd che per metà esprimerà una socialdemocrazia di profumo, ma senza alcun arrosto e per l’altra quasi metà andrà a riempire con Renzi il vuoto lasciato dal Pdl. Non dico che si potrebbe vincere, ma che il risultato potrebbe essere ben superiore a quello di un quarto polo destinato a fare testimonianza. L’esperienza di Syriza in Grecia, ma anche più recentemente quella della sinistra radicale catalana di Erc, che ha raddoppiato i voti e superato il partito socialista, sono lì a rincuorare gli incerti.
Però ho come l’impressione che non manchi la consapevolezza di un possibile successo, ma che come mi è sembrato di poter suggerire ieri (qui), la sinistra abbia mancato di elaborare delle modalità di lotta all’altezza dei tempi e si trovi ancora preda dello spontaneismo di gruppo, di un leninismo di fondo delle piccole elites, di una sorta di autismo delle varie formazioni che alla mancanza di incisività sul reale cercano un contrappeso nella gelosa conservazione dei “punti irrinunciabili” o delle priorità. A questo quadro corrisponde la scelta -certo non vincente quanto meno dal punto di vista dell’audience- di chiamare a parlare una sessantina di persone per pochi minuti: se non manca l’elaborazione delle idee e delle tematiche, ciò che sembra aver fatto il suo tempo sono le ritualità che appunto si appellano a certi vizi piuttosto che all’evoluzione della sfida. E oggi più di ieri eri mi chiedo se un sistema di collegamento orizzontale simile a quello dei meetup grilleschi non sia necessario per richiamare attenzione ed impegno. E anche per scardinare l’idea – purtroppo introiettata dagli anni ’80 in poi – che la realtà sia data, sia immutabile nella sua natura di fondo e che le alternative non esistano se non in ambiti marginali.
Una cosa è certa però: tutto questo non potrà cambiare nelle discussioni e nelle elaborazioni, nelle mille sfumature tra la forma partito e movimento, tra democrazia diffusa e rappresentativa, ma solo nella prassi che è quella dei movimenti di opposizione forte già esistenti, delle battaglie referendarie, della resistenza sindacale ormai solo della Fiom e potrebbe essere quella di una sfida elettorale. Che occorre non solo per il Paese, ma per spazzare via modalità e mentalità nate nella contemplazione della marginalità.