Così scrive Marek Halter, scrittore e anche fondatore del movimento SOS Racisme e anch'io avevo sempre pensato così: che con i villaggi dell'Europa dell'Est spazzati via, con quel popolo sparito nelle camere a gas, fosse svanita una volta per tutte una civiltà, e quindi una lingua, una letteratura che ci aveva reso tutti più ricchi.
Che sorpresa, dunque, leggere il reportage che lo stesso Halter ci ha regalato dopo essersi spinto in una terra dal nome impossibile, Birobidzhan. Non ne avevo mai sentito parlare, ma questo è il nome della repubblica autonoma ebraica istituita nella Siberia sovietica qualcosa come 80 anni fa. La volle Stalin, presumibilmente per liberarsi degli ebrei che aveva intorno e che non poteva tutti rinchiudere nei gulag. E così si inventò questa repubblica ritagliandole alcune terre della sterminata Siberia, là dove scorre il fiume Amur.
Da allora c'è stato Hitler e l'yiddish è stato spazzato via. L'Unione Sovietica è morta e sepolta, Israele è nata ed è viva e vegeta. Del Birobidzhan nessuno (o almeno il sottoscritto) ha sentito parlare. Ma sorpresa esiste ancora: esiste ancora un paese dove l'yiddish è addirittura lingua ufficiale.
E che belle le parole di Halter, alla scoperta di questo paese dove si parla ancora la sua lingua madre, la lingua che lui stesso dava per morta. Che bella la sua conclusione, quasi un atto di riparazione della storia:
Seppellire la memoria, e in particolare la memoria di una lingua, è più difficile che seppellire i corpi.