La testimonianza della poesia

Creato il 04 luglio 2013 da Libereditor

E’ un grande onore per me, e un alto privilegio, poter parlare dalla cattedra intitolata a Charles Eliot Norton. Poiché, però è una cattedra di poesia, mi accingo a tenere queste lezioni con una certa apprensione. Sulla poesia nel nostro secolo è stata scritta un’enorme quantità di libri dotti che trovano, almeno nei paesi dell’Occidente, più lettori della poesia stessa. Questo non è un buon segno, ma è spiegabile sia con l’intelligenza dei loro autori sia con lo zelo nell’assimilare le nuove discipline scientifiche, che oggi godono di universale rispetto. Un poeta che volesse competere con tali montagne di erudizione dovrebbe fingere di avere maggiore autocoscienza di quanta gli sia consentita. In realtà sono stato tutta la vita in potere di un daimon e io stesso non so bene come siano nate le poesie che esso mi dettava. E’ questo il motivo per il quale, in tutti gli anni in cui ho insegnato letterature slave a Berkeley, mi sono sempre limitato alla storia della letteratura, cercando di stare alla larga dalla poetica. C’è però qualcosa che mi conforta e che giustifica, credo, la mia presenza qui, a Harvard, per parlare da una cattedra di poesia. Intendo l’angolo d’Europa che mi ha formato e al quale sono rimasto fedele, scrivendo esclusivamente nella lingua della mia infanzia.

Il punto di vista sulla poesia di Czeslaw Milosz è pura vita che si volge e si muove in tutte le direzioni. Va verso l’alto e va verso la luce. Una luce che imbeve e plasma la materia corporea e che vibra attorno a lui.
Milosz era in grado di condensare la tragica esperienza della sua epoca in un punto invisibile, dove nasce la speranza. Era un poeta immerso nei drammi della storia, ma capace di provare ed esprimere grande tenerezza e solenne senso di meraviglia per la quotidianità.
Iosif Brodskij definì Milosz tra i maggiori poeti del Novecento. E la sua influenza fu decisiva: si pensi, per esempio, a Raymond Carver e Wyslawa Szymborska.
Un giorno così felice./ La nebbia si alzò presto, lavoravo in giardino./ I colibrì si posavano sui fiori del quadrifoglio./ Non c’era cosa sulla terra che desiderassi avere./ Non conoscevo nessuno che valesse la pena d’invidiare./ Il male accadutomi, l’avevo dimenticato./ Non mi vergognavo al pensiero di essere stato chi sono./ Nessun dolore nel mio corpo./ Raddrizzandomi, vedevo il mare azzurro e le vele.
Dal minimalismo al massimalismo.
Cos’è la poesia che non salva/ I popoli né le persone?/ Una complicità di menzogne ufficiali,/ Una cantilena di ubriachi, a cui fra un attimo verrà tagliata la gola,/ Una lettura per signorinette. /Che volevo una buona poesia, senza esserne capace,/ Che ho capito, tardi, il suo fine salvifico,/ Questo, e solo questo è salvezza.

Czeslaw Milosz, La testimonianza della poesia, traduzione di Andrea Ceccherelli, Piccola Biblioteca Adelphi, Adelphi, 2013.


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