Non c’è l’una senza l’altro perché ancora oggi in molte parti di questo paese la ricchezza di una famiglia si basa su quanti appezzamenti di terra destinati alla coltivazione del riso possiede. Gli appezzamenti hanno "riso" come unità di misura - anche se in realtà non ho ancora ben capito a quanti ettari corrisponda “1 campo di riso".
Proteggersi dal sole, sempre!
Siamo in piena stagione delle piogge e il paesaggio del mio amato Isaan è di una bellezza disarmante. Il verde dei campi è così brillante da sembrare irreale; il cielo è azzurro e nitido (perché il fatto che sia la stagione delle piogge mica vuol dire che piove 24 ore al giorno, 7 giorni su 7) e anche l’acqua che ricopre le risaie nel suo essere torbida rende piacevole la vista dei campi.
Questa è la stagione del dam naa - ดำนา, la seconda fase della lunga produzione del riso, quella cioè in cui le giovani piante nate dalla semina “casuale" vengono trapiantate una ad una!
Amo il lavoro nei campi e avevo già aiutato la mia famiglia adottiva a fare la "mondatura delle risaie" e la mietitura del riso: lavori umili e faticosi, non c’è dubbio, ma che attendo ogni anno con trepidazione perché mi fanno sentire libero.
Donne al lavoro nelle risaie
La schiena piegata per ore, le gambe immerse nell’acqua fangosa fino alle ginocchia per intere giornate, le mani che si muovono in automatico nel fango. Se non piove a dirotto il sole picchia forte; il caldo di mezzogiorno rende impossibile lavorare. Prima si tirano via le piantine e le si raccolgono in fasci per essere facilmente trasportate nei campi. Poi inizia il meticoloso lavoro di rimetterle giù: il pollice vicino alle radici precede la pianta nella melma impedendo che il fragile fusto si pieghi danneggiandolo irrimediabilmente. Quasi avessero il metro incorporato alla mano, ogni 20-30 cm vengono affondate delicatamente 2 o 3 piantine in modo che abbiano sufficiente spazio e nutrimento per crescere forti, produrre tanto riso e, al tempo stesso, non si contaminino facilmente con funghi e muffe.
Come sempre qui la giornata inizia prima dell’alba e alle 7 si fa la prima pausa. I più forti lavorano i campi con le motozappe; donne e bambini (perché anche i bambini quando non sono a scuola partecipano ai lavori), nonché il sottoscritto che una motozappa immersa nell’acqua non se l’è sentita di manovrarla, si beccano la gioia di arrivare a fine giornata incapaci di assumere una posizione eretta!
…a dire il vero qui anche i bambini sanno usare quell’aggeggio infernale!
Sì, dopo 10 ore a capofitto nel fango ho avuto non poche difficoltà a tirarmi su, sia di morale che come posizione corporale. Il dolore alla schiena in fondo non è niente paragonato a quello della parte posteriore delle gambe costrette ad uno stretching disumano. La sanguisughetta appiccicata al polpaccio non mi ha neppure scandalizzato (l’avevo messa in conto) e le zanzare assatanate non le ho neppure calcolate: non avere sensibilità su metà del corpo credo sia la cosa peggiore. Fossi stato l’unico a lamentarmi avrei detto che era perché non ci sono abituato e, comunque, il mal comune non è stato un mezzo gaudio. Per la prima volta ho pensato che non sarei voluto tornare a svolgere ancora quel lavoro disumano. Ho avuto le mani piene di vesciche per la falce e il collo ustionato dal sole senza tregua di novembre eppure non mi sono mai lamentato. Sarà che invecchio? Forse ma io il dam naa non lo voglio rifare!
Moo, triste vero d’aiutare con il lavoro nei campi?
Di certo ora qualcuno parlerà di sfruttamento del lavoro minorile e di maltrattamento, di diritto all’infanzia violato… forse è vero ma dubito. Io auguro a tutti i bambini di avere la serenità di Moo che ogni 10 minuti di lavoro si concede una corsa nei campi o una nuotata nello stagno, che non sa navigare internet ma sa riconoscere i funghi commestibili da quelli velenosi, che riesce a divertirsi anche solo grazie ai girini che gli nuotano intorno ai piedi.
Non mi fraintendete. So che probabilmente non diventerà un ingegnere o un medico ma contribuirà comunque al benessere del suo paese! All’inizio volevo che questo post fosse uno sfogo nei confronti dei viaggiatori: chi viene in Asia la foto delle risaie la vuole! Ma non tutti vi rendete conto di quanto lavoro c’è dietro. Un lavoro che non è fatto perché voi belli-belli, freschi-freschi possiate goderne con la reflex comprata quasi apposta per quello scatto! Di certo il contadino sarà orgoglioso di sapere che avete scelto il suo campo per quella foto ma forse è anche più felice se lo scatto lo pagate, magari offrendogli semplicemente una birra! Poi ho pensato che chi leggerà questo post non ha bisogno di prediche e retorica perché se è arrivato in fondo vuol dire che gli interessano le persone più dei paesaggi, le emozioni più di un segnetto in più sul mappamondo per dire che lì c’è stato.
Io in Isaan ci tornerò subito dopo il mio imminente viaggio in Italia. Ebbene sì! Finalmente dopo quasi 3 anni è arrivato il momento di fare un salto nel Bel Paese. Quando rientrerò andrò a controllare se le piante maltrattate da me sono sopravvissute oppure no….
Concludo riportando uno dei pochi brani di Terzani che da sempre condivido ideologicamente (in risposta a Oriana Fallaci):
Dobbiamo però accettare che per altri il “terrorista" possa essere l’uomo d’affari che arriva in un paese povero del Terzo Mondo con nella borsetta non una bomba, ma i piani per la costruzione di una fabbrica chimica che, a causa di rischi di esplosione ed inquinamento, non potrebbe mai essere costruita in un paese ricco del Primo Mondo. E la centrale nucleare che fa ammalare di cancro la gente che ci vive vicino? E la diga che disloca decine di migliaia di famiglie? O semplicemente la costruzione di tante piccole industrie che cementificano risaie secolari, trasformando migliaia di contadini in operai per produrre scarpe da ginnastica o radioline, fino al giorno in cui è più conveniente portare quelle lavorazioni altrove e le fabbriche chiudono, gli operai restano senza lavoro e non essendoci più i campi per far crescere il riso, muoiono di fame?
Ho fatto i fanghi gratis…
Posted 4 hours ago
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