Si conobbero poco più che ventenni nel 1630 a Cherasco (CN), dove la corte si era rifugiata per scappare dalla peste che affliggeva Torino. Lei era la volitiva e intraprendente Maria Cristina di Francia, duchessa di Savoia. Lui era l’affascinante conte Filippo San Martino d’Agliè, membro di una delle famiglie piemontesi più in vista e padrone del famoso castello dov’è stata girata la sempre sia lodata serie tv “Elisa di Rivombrosa”.
Non fu un classico colpo di fulmine quello tra Maria Cristina e Filippo. L’aitante giovanotto non sfuggì però all’occhio attento della duchessa, che così lo descrisse: “… gentiluomo bello e spiritoso… il portamento piacevole… l’aria di un ragazzo di 18 anni…”. Insomma, tutte le carte erano in regola perché nascesse un amore da romanzo. E infatti, da quel momento in poi i due non si separarono più.
La storia della vita di Filippo d’Agliè avrebbe potuto ispirare Alexandre Dumas nella creazione di uno dei suoi indimenticabili eroi di cappa e spada.
Il castello di Aglié, nel Canavese, fu di proprietà dei San Martino fino al 1763, quando passò nelle mani dei Savoia. Fu Filippo a far affrescare il meraviglioso Salone da Ballo.
Filippo nacque il 19 marzo 1604, secondogenito di Giulio Cesare e Ottavia Gentile. Fu subito educato alle armi, ma la disciplina militare non servì ad inquadrare quello che era uno spirito assai ardimentoso. A meno di vent’anni fu protagonista di un duello che gli costò l’allontanamento da Torino. Riparò a Roma, presso la corte del cardinale Maurizio di Savoia. Sotto la guida di questo colto mecenate, il giovane iniziò ad interessarsi allo studio delle arti. Diventò un ottimo scrittore, musicista, ballerino e coreografo. Tornato a Torino entrò a far parte a pieno titolo della corte sabauda, prima come gentiluomo di camera del cardinale e poi come alfiere delle guardie del duca Vittorio Amedeo I. Al 1630 risale l’incontro con la bella Cristina, della quale diventò subito amico, servitore e molto probabilmente anche amante. Si bisbigliava a corte che fosse Filippo il vero padre dell’erede al trono…
La duchessa Maria Cristina di Francia con i figli
Nel 1637 il duca morì e Cristina diventò la reggente del ducato. Al suo fianco, come favorito e consigliere, c’era sempre lui, il conte d’Aglié, che non era solo bello e dotto, ma anche un intelligente politico. Erano quelli i tempi duri in cui scoppiò la guerra civile tra madamisti (i sostenitori filofrancesi della duchessa) e principisti (i sostenitori filospagnoli dei cognati di Cristina, Maurizio e Tommaso) per la reggenza del ducato. La cosiddetta Guerra dei Cognati durò dal 1638 al 1642. Il 31 dicembre 1640, durante l’occupazione francese di Torino, Filippo, che non andava troppo a genio al cardinale Richelieu perché voleva che il ducato restasse indipendente dalla Francia, fu arrestato e imprigionato nel famigerato castello di Vincennes. Lì scrisse lettere a Cristina e un diario poetico della sua detenzione: “La prigione di Fillindo il Costante”. Filippo fu liberato e rientrò in Piemonte solo dopo la morte di Richelieu, nel 1643.
La prigionia mutò per sempre il conte. Si avvicinò ancora di più alla religione, tanto da voler seguire le orme di due suoi zii entrando come novizio nel convento del Monte dei Cappuccini. Ma la duchessa non poteva fare a meno del suo aiuto, così Filippo si accontentò di fare voto di castità (povera Cristina!) e tornò a corte, dove ricevette molte importanti nomine, suscitando la già accesa invidia degli altri cortigiani. Continuò poi a scrivere poemi e balletti, tra cui spicca “Il Gridelino” (il grigio del fior di lino, colore preferito di Maria Cristina), omaggio all’eterno affetto che lo legava alla duchessa.
“Il Gridelino”, balletto composto da Filippo d’Aglié per la Madama Reale nel 1653. Conservato alla Biblioteca Nazionale di Torino. Photo by www.arttattler.com
Il 27 dicembre 1663 morì l’amata Madama Reale. Filippo continuò ad essere il braccio destro del duca Carlo Emanuele II, che lo considerava come un padre, fino al 19 luglio 1667. In quel giorno, il conte, malato del “mal di pietra” (calcoli ai reni o alla vescica), si spense nel suo appartamento al pianterreno di Palazzo Madama. Aveva 63 anni e aveva vissuto intensamente al servizio della donna più importante e potente di Torino, che lo ricambiò sempre nella stima e nell’amore (d’altronde, come si fa a non adorare uno che quando ti scrive una lettera, dice di essere il tuo “umilissimo, fedelissimo, obbligatissimo suddito, vassallo e servitore”?). E’ testimonianza di questo rapporto privilegiato un oggetto ritrovato nella tomba di Filippo… volete sapere di che si tratta?
Ve lo dirò nella seconda parte del racconto!
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