La tragedia dell'eroe veneziano Agostino Stefani

Creato il 23 luglio 2014 da Walter_fano @walterfano
Sul lato sinistro della Chiesa degli Scalzi si trova una targa dedicata ad Agostino Stefani.
Nel 1849, quando apparve ormai imminente la distruzione di Marghera da parte degli austriaci, si decise di procedere alla demolizione del ponte sulla laguna. A tale missione parteciparono, sotto i bombardamenti austriaci, non solo operai salariati ma anche centinaia di volontari.
Il 31 maggio 1849 apparve sui giornali di Venezia la notizia che uno dei lavoranti addetti alla demolizione del ponte, identificato in Agostino Stefani da Budoja (in Friuli), aveva insospettito con il suo comportamento gli altri operai, i quali avevano avuto l'impressione che volesse scappare per porsi in salvo verso la parte austriaca. Raggiunto e interrogato, diede spiegazioni confuse. Durante il suo trasporto in Prefettura, nonostante la scorta dei gendarmi, fu assalito dalla popolazione. Il malcapitato si gettò in acqua per sfuggire alle violenze ma, colpito da pietre, sassi, colpi di remo e di badile, fu ucciso,
"Non pertanto nel giorno 2 luglio, avendo preso la parola nell'Assemblea Veneta Niccolò Tommaseo, fra il generale stupore s'intese che il muratore che nel 30 maggio venne massacrato a furore di popolo sul ponte della laguna, perché ritenuto sventuratamente reo di tradimento, per accurate investigazioni era stato riconosciuto innocente.
Era in realtà un eroe. Erasi infatti consacrato, per la testimonianza del tenente colonnello Enrico Cosenz, che quel muratore si offerse per accendere una mina sotto ad un arco presso gli avamposti nemici; che, generoso di sé, siccome l'impresa era azzardata, dava il proprio nome a Cosenz, il quale lo notava sul portafoglio, e, ammirato di tanta fortezza d'animo, incaricava quel fedele operaio dell'ardita azione, ripromettendogli glorificazione e onore... il Cosenz fatalmente si partiva dal luogo. La leggera barchetta intanto aveva dato nel secco, e il muratore, messosi in acqua, cercava spingerla innanzi e faceva segni col cappello per mostrarsi ancora vivo ai suoi, i quali, ignari della sua missione, vedendo quest'uomo così lontano, lo ritennero ben altro e riferirono  all'ufficiale sorvegliante, il quale spedì alcune barche a quella volta. Ricondotto, disse di essere stato spedito da un ufficiale in occhiali (i quali appunto Cosenz portava); ma Ulloa, comandante il circondario, non si ritiene abbastanza istruito ad interrogarlo e lo rimette alla Prefettura d'ordine pubblico. Corre voce intanto degli oggetti rinvenuti nella sacca, e la moltitudine inferocita lo assale...."
(Gabriele Fantoni: Biografie di dieci patrioti veneziani, 1898)
Il tragico equivoco che costò la vita all'eroico muratore di Budoja appartiene alla storia degli ultimi mesi dell'epopea veneziana quando, pur stremata dalla fame, dal colera e dai bombardamenti, anche la popolazione civile volle tener fede all'impegno di "resistere all'Austriaco ad ogni costo".
Venezia e la sua agonia trovarono il loro commosso cantore in Arnaldo Fusinato, autore della celebre Ode a Venezia:
Passa un gondola / della città
"Ehi della gondola / qual novità?"
"Il morbo infuria / il pan ci manca
sul ponte sventola / bandiera bianca".
No no, non spleder / su tanti guai,
sole d'Italia / non splender mai,
e sulla veneta / spenta fortuna
si eterna il gemito / della laguna.
Venezia, l'ultima / ora è venuta,
illustre martire / tu sei perduta,
il morbo infuria / il pan ci manca,
sul ponte sventola / bandiera bianca.

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