Ripensandoci ora, con lo sguardo nostalgico (ma non troppo) al passato, a volte mi domando attonita come un cumulo così ampio di sfighe e brutture abbia potuto accatastarsi su di me negli anni ormonici della pre-adoloscenza.
Io sono figlia degli anni 80, quelli di mezzo, e la mia generazione dovrebbe essere ribattezzata la generazione dell'apparecchio ai denti. Incredibile il tasso di bambini apparecchiati nelle scuole medie, in quegli anni. Io in primis, ovviamente. Una volta smessi i denti da latte, la mia bocca ha cominciato ad accessoriarsi in maniera preoccupante di zanne di due misure più grandi delle precedenti, che non fittavano in nessun modo nella mia bocca piccina picciò. Avevo denti ovunque, ragazzi. E quando dico ovunque, intendo sul palato. Sulla gengive. La schiavitù della ferraglia in bocca è durata gli anni, anni di sofferenze, di visite mensili, di abrasioni e fiacche sulle guance. E, complice l'imbecillità del mio dentista, di elastici colorati. Ora, io andavo in prima media ed ero deficiente, lo so. Ma lui mi proponeva elastichini fucsia per fissare i ganci dell'apparecchio. E quando mi andava male, arancio o gialli. Arancio. Gialli. Come se fossi sempre reduce da una merenda a base di carote. Rabbrividisco.
Poi ho dovuto mettere gli occhiali. Andando indietro di intere generazioni, credo di essere la prima della mia stirpe ad essere affetta dall'orribile miopia. E guai al primo che salta su dicendo che gli occhiali sono un accessorio fescion, perché vi assicuro che nel '92 erano solo da sfigati secchioni e orrendi. E io mi rifiutavo di metterli. Ho rifiutato stoicamente per mesi e mesi, quando poi, annichilita dai mal di testa e scottata dalle molteplici figure imbarazzanti spesso ai danni di sconosciuti, ho dovuto ammettere a me stessa che non ci vedevo una fava. E ho inforcato gli occhiali.
Non vi sto a dire che andavo a fare ginnastica correttiva perché ero lordotica e cifotica e che ho evitato il corsetto per intercessione direttamente divina perché non voglio cediate a facili pietismi.Vi racconto dei miei capelli, invece.
Io e i miei capelli, da quando hanno deciso di non essere più biondi, abbiamo smesso di andare d'accordo. Ormai non saprei neanche più localizzare il giusto periodo temporale in cui la mia lotta ad armi dispari contro le estensioni pilifere è iniziata. Boh. Da che ricordo, ho sempre litigato con i miei capelli. E questo perché sono degli stronzi bastardi che fanno quello che vogliono. Intanto sono secchi e con spiccata tendenza alle doppie punte. Poi sono tanti. Incredibilmente tanti. Ci ho perso un sacco di forcine, e ho sacrificato interi set di spazzole in quella selva selvaggia e aspra e forte. E poi sono mossi di quel mosso che non ha ragione di esistere, che non è riccio nè ci ricavi le beach waves. E' solo il mosso che potrebbe essere proprio del vello di certi montoni o di un chinchilla. In più, è refrattario. Il mio è un capello mosso, spesso, secco e indisponente. E' antipatico. Spezza gli elastici, sbeffeggia la piastra, piega le forcine. Gli anni e le sanguinose perdite riportate mi hanno insegnato come domare questo cavallo selvaggio a suon di olio ai 6 fiori, maschere prepotenti e soprattutto Lei, la Regina di Tutte le Piastre, Sua Altezza GHD per capelli afro, credo l'acquisto migliore della mia vita e oltre. Ma certo, a dodici anni cosa potevo saperne di styling e GHD. Niente. Ci provavo a lisciarli, sti capelli malvagi, con le piastrine e le spazzole riscaldate che Madre mi rifilava, prese con i punti dell'Esselunga. Ciaoproprio. Anni di anarchia pura on my head e di grossi rosicamenti in my liver.
In più mettiamoci che io non lo so davvero cosa avevo in testa in quegli anni (oltre ai capelli, intendo). Quel che è certo è che so perfettamente cosa avevo addosso, e vorrei dimenticare. Vorrei poter dimenticare le tute con i bottoncini sul lato della gamba, le tshirt da basket (ma perché? Io giocavo a pallavolo!), i pantajazz fucsia, quelli di velluto a costine, gli anfibi beige, le canotte della Onix, i Levi's 501, i bomber. Io riguardo certe foto e vedo le mie amiche pettinate. Con dei graziosi abiti a fiorellini e i sandali. E mi chiedo, Madre, perché tu non abbia insistito di più. Perché mi hai lasciato andare in giro come una scampata da Chernobyl.
Improvvisamente poi, furono gli anni delle scuole superiori. E incredibilmente, non so come non so perché, cominciai vagamente a migliorare. Tipo che mi levarono l'apparecchio, lasciandomi orgogliosa padrona di una dentatura importante, imperfetta, un po' sbilenca, ma quanto meno non ferragliata. Poi feci la gradita conoscenza con le mie amiche lenti a contatto, mai più abbandonate. I capelli rimasero purtroppo un capitolo dolorosamente aperto, perché la mia scuola era di sinistra. Allora io non so come funzioni adesso, ma all'epoca le scuole erano schierate: tipo che c'erano i geometri che erano di destra, mentre il liceo scientifico era di sinistra. La mia scuola stava a sinistra, senza se e senza ma, e questo voleva dire una cosa in particolare: ci si conciava di merda. Tutti volevano essere punk, anche se non si sapeva perché. I veri idoli a scuola avevano i rasta e le corde delle chitarre infilate nei lobi delle orecchie. Io ovviamente non ho mai potuto avere i rasta, nonostante li desiderassi con tutto il mio cuore punk, perché Madre mi avrebbe decapitata piuttosto che lasciarmi uscire di casa così. E invece secondo me sarebbero stati una soluzione più onorevole rispetto al cumulo di alghe che mi portavo in giro arrotolate sulla testa. Non potendo avere il mio hairstyle, mi accontentavo di vestirmi di merda. Tra i miei ricordi più felici ci sono dei collant di dubbi colori e fantasie, una gonna in ecopelle che faceva paura e, ovviamente, la kefiah presa in Porta Genova.
La parentesi punk si è chiusa repentinamente quando il mio fidanzatino dell'epoca dopo tipo 25 giorni di intensa relazione amorosa mi lasciò e io per reazione cominciai a frequentare il Celebrità. Yeah. Intanto, voi ridete, ma la mia faticosa risalita alla conquista di un aspetto estetico socialmente meno repellente è iniziata proprio lì. Ho iniziato a truccarmi. Certo, ci ho messo un po' a capire che l'azzurro e il viola non dovrebbero stare nella mia palette ma vabbè, intanto la mia rehab era cominciata. Mi sono infilata i tacchi. Insomma, ho scoperto di essere portatrice di due cromosomi X. E di avere un corpo. E una faccia. Che vabbè, forse non sono i migliori del mondo, ma ci posso lavorare su e farne uscire qualcosa di buono. A dispetto del naso, che ha continuato a crescere e crescere ben oltre il normale periodo di sviluppo, a dispetto dei miei dentoni, delle spalle che mi cadono e del culo quadrato. E a dispetto delle mie ginocchia imbarazzate, che sono rimaste leggermente imbronciate e si guardano e mi fanno star male ogni volta che da Zara mi provo gli skinny a 29,90 €. Insomma, ho imparato a prenderla così com'è, non farmi fotografare mai di profilo e fare del mio meglio con quello che ho, perché qualcosa c'è, che diamine. E la cosa meravigliosa e che, anno dopo anno, giorno dopo giorno, ho cominciato a scoprire sempre più cose che mi piacciono. Ho scoperto che ho il collo lungo e che sto bene con i capelli raccolti. Ho scoperto che ho gli occhi grandi e che la sfumatura di nocciola mi piace e che ho le ciglia lunghe, e basta poco per farle diventare superlunghe. Ho scoperto che la vita alta mi sta bene, perché i fianchi saranno anche un po' bleh, ma la vita ce l'ho sottile. Certo, ho ancora alcuni traumi da smaltire. Segretamente sogno il giorno in cui potrò mettere un apperecchio trasparente e indolore per rimettere definitivamente a posto quei denti spanati. Come ho detto, il profilo e il tre quarti mi inquietano, perché ho il mento sfuggente e mi si vede solo il naso e ho paura di assomigliare ad un uccellaccio. - La soluzione per questo è far finta di essere bidimensionale. Funziona. - D'estate in spiaggia mi porto il pantaloncino hawaiano perché non esiste che vado al bar col culo ballonzolante di fuori. Però insomma, ce la faccio. Faccio del mio meglio. Cerco di non preoccuparmi troppo del mio aspetto ma di agire con buonsenso, perché offendere la vista di chi non centra niente con le mie paturnie non mi pare carino.
Non so quanto sia ancora distante dal mio punto di equilibrio. A volte faccio degli scivoloni che mi sembra di essere sull'altalena ma poi ci ritorno, in bolla. Più o meno. Mi sparo i selfie, ma col telefono davanti al naso, così non si vede. E va tutto bene, finché qualche amico stronzo non mi tagga in una foto su Facebook dove sono di profilo e rido. Effettivamente lì un po' in menata ci vado. Per fortuna però c'è sempre l'opzione "rimuovi tag". E allora ci passo sopra.