Molti avranno visto il film che a lei dedicò Francois Truffaut. Pochissimi avranno avuto modo di leggere la biografia che l'autrice canadese Leslie Smith Dow le ha dedicato e che in Italia ha pubblicato una piccolissima casa editrice, la Menichetti, che dopo questa partenza col botto mi pare che non abbia dato più segno di sé.
E certo film e libro raccontano la stessa storia e due vite diverse: senz'altro più crudo e impietoso il libro, allergico a ogni aura di eroina romantica.
Adèle Hugo. La miserabile, già il titolo non scherza, rimanda al destino di questa donna, figlia di Victor Hugo, il più grande tra i grandi scrittori, condensa la sua vita nella parola del capolavoro del padre e così ne esprime tutta l'irrimediabile infelicità.
Adèle, cioè la giovane bellissima, colta, brillante, capace di conversare a pari a pari con le menti più acute della sua epoca. Un talento dissipato, un fallimento esistenziale che non può essere imputato a un amore senza speranza, a un cuore scriteriatamente consegnato al peggiore degli uomini.
Forse non solo amore, ma anche malattia mentale. E forse non solo malattia, ma implosione di una donna che era troppo per un tempo che dalla donna si aspettava ben poche cose e ancora meno ne concedeva: certo non l'indipendenza intellettuale, certo non la libertà dei sentimenti.
Estrema ribellione, quella di Adèle, fino a oltrepassare la frontiera della follia. Stringe il cuore inseguirla per il mondo, ridotta così, con quel padre che certo non la capì e non l'aiutò come avrebbe dovuto, il grande Victor, certo più grande nelle sue pagine che nella vita. Stringe il cuore vederla consegnata per anni al silenzio di un manicomio che solo l'ipocrisia e il denaro del padre permettono di classificare come casa di cura. Lei, che molte cose avrebbe avuto da dire al mondo.